
Diventa definitiva la sentenza per un 55enne. Le motivazioni dell’Appello: decisiva la perizia che ha escluso traumi nella minore. Il fatto non sussiste.

MESSINA — Si chiude definitivamente, almeno sotto il profilo penale, l’odissea giudiziaria di un padre di 55 anni, passato dall’essere marchiato come “mostro” a un’assoluzione con formula piena. La Corte d’Appello di Messina ha depositato le motivazioni della sentenza che, ribaltando il verdetto di primo grado, ha cancellato la condanna a 16 anni e mezzo di reclusione per presunti abusi sessuali sulla figlia minorenne. La formula utilizzata dai giudici è la più netta: «perché il fatto non sussiste».
A scrivere la parola fine su una vicenda nata dalle accuse della ex compagna dell’uomo è stata la scienza, prima ancora del diritto. La svolta nel processo di secondo grado è arrivata con la decisione della Corte di rinnovare il dibattimento affidando una perizia super partes al dottor Giovanni Carlo Costanza. Il quesito era dirimente: accertare se la capacità emotiva della ragazza fosse influenzata da disturbi e, soprattutto, se vi fossero tracce di stress post-traumatico compatibili con gli abusi denunciati. La risposta del perito è stata inequivocabile, allineandosi a quanto già sostenuto dai consulenti della difesa (tra cui la criminologa Roberta Bruzzone e il dottor Sergio Chimenz): inesistenza di un quadro clinico compatibile con esiti traumatici da abuso.
Nelle motivazioni stese dal giudice Bruno Sagone, il collegio spiega come l’assenza di riscontri clinici abbia sgretolato l’impianto accusatorio. Non solo la perizia ha escluso il trauma, ma è mancato qualsiasi riscontro fisico o testimoniale credibile al racconto della madre e della figlia. Una narrazione che, alla prova dei fatti e delle nuove risultanze istruttorie, si è rivelata priva di fondamento. Un quadro talmente chiaro da indurre lo stesso sostituto procuratore generale a chiedere l’assoluzione, unendosi alle richieste del collegio difensivo composto dagli avvocati Isabella Barone, Francesco Cardone e Francesco Albanese.
La sentenza di giugno è ora definitiva per gli effetti penali. Resta aperta, solo in via teorica, la possibilità di un’impugnazione da parte delle parti civili, ma limitatamente agli aspetti risarcitori. Per la giustizia penale, però, il caso è chiuso: quel padre non ha mai abusato di sua figlia.











