
Sei riduzioni e una conferma nel processo sul traffico illecito nel penitenziario. L’infermiere accusato di fare da corriere condannato a 3 anni e 4 mesi.

MESSINA — Droga e cellulari in cella. Il carcere di Barcellona Pozzo di Gotto era diventato un «porto franco», un hub dove la permeabilità tra interno ed esterno era garantita da dipendenti infedeli.
Si è concluso nella tarda serata di ieri, con un verdetto che riscrive in buona parte le decisioni di primo grado, il processo d’Appello su una delle tranche principali dell’inchiesta della DDA di Messina. Il bilancio della Corte, presieduta dal giudice Katia Mangano, è netto: sei condanne ridotte e una sola conferma rispetto alla sentenza del Gup.
Dopo una lunga camera di consiglio, i giudici hanno disatteso le richieste dell’accusa, che puntava alla conferma integrale delle pene inflitte col rito abbreviato nel gennaio scorso. Lo «sconto» più evidente riguarda Enrico Pagano, l’infermiere dell’Asp originario di Sant’Agata Militello ma residente a Barcellona. Accusato di essere il «corriere» che veicolava stupefacenti e telefoni dentro le mura del carcere, Pagano ha visto la sua pena scendere dai 6 anni (e 10mila euro di multa) del primo grado a 3 anni e 4 mesi. Analoga riduzione per gli altri imputati: Francesco Giuseppe Calabrese, Mhiai Ciurar e Sebastiano Russo sono stati condannati a 3 anni e 4 mesi ciascuno (in primo grado le pene oscillavano tra i 4 e i 5 anni e mezzo). Pena rideterminata anche per Nando Russo (3 anni) e Salvatore Selvaggio (2 anni e 6 mesi). L’unica sentenza confermata integralmente è quella a carico di Florin Jianu: 3 anni e 4 mesi.
Al centro del procedimento c’è il lavoro della Distrettuale antimafia diretta dal procuratore Antonio D’Amato, che ha scoperchiato un sistema di corruzione e traffico gestito — secondo la ricostruzione degli inquirenti — con la complicità di figure istituzionali. Se in questa tranche il focus era sull’infermiere Pagano, il quadro accusatorio generale ha coinvolto anche l’assistente capo della Polizia Penitenziaria Francesco La Malfa (arrestato nel blitz di giugno 2024), ritenuto il perno che permetteva l’ingresso di cocaina e dispositivi fin dal novembre 2021. Le indagini dei Carabinieri hanno delineato uno scenario in cui i funzionari «sottostavano» alle direttive della famiglia Iannello, in particolare di Maurizio Iannello, divenuto il dominus dello spaccio tra le sbarre.
Nel processo è stato impegnato il collegio difensivo composto, tra gli altri, dagli avvocati Giuseppe Ciminata, Salvatore Silvestro, Giuseppe Alvaro, Tancredi Traclò e Sebastiano Campanella.










