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Piste Ciclabili – Messinesi “retrogradi”? Il post del Sindaco è la “fiera del consenso”. Ma Messina non è Milano né Bologna

- 11/12/2025
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Mentre le strade del centro si restringono e l’asfalto resta pieno di buche, l’amministrazione difende l’indifendibile citando il Nord Italia. Ma ignorare le alternative (come la litoranea sud) e realizzare opere inutilizzate espone al rischio di danno erariale. E i cittadini non accettano di passare per retrogradi.

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Il dogma dell’amministrazione Basile è: chi critica la rivoluzione della viabilità è un nemico del futuro, un nostalgico del caos, un cittadino che non merita la “visione” europea calata dall’alto. Eppure, scorrendo la valanga di commenti sotto il post con cui il sindaco Basile ha tentato — con tono tra il saccente e il prosaico — di giustificare i cordoli di via Geraci paragonandoli a quelli di Milano o Torino, emerge una verità ben diversa. I messinesi non sono contro la modernità; sono contro la negazione della realtà.

Il primo dato ineludibile è geografico, prima ancora che urbanistico. Messina non è la Pianura Padana. Non gode delle ampiezze dei viali torinesi né della topografia piatta di Bologna. Ostinarsi a importare modelli geometrici standard in un tessuto urbano che si sta letteralmente “stringendo” sotto i colpi di pennello della segnaletica orizzontale, significa ignorare l’abc della pianificazione. Le strade del centro, già ridotte ai minimi termini da un manto stradale che definire colabrodo è un eufemismo, vengono ulteriormente sacrificate per creare corsie che restano desolatamente vuote.

Danno erariale? Parliamone. Un’opera pubblica finanziata con fondi comunitari o statali ha l’obbligo della funzionalità. Se chilometri di piste ciclabili vengono realizzati non per rispondere a una domanda di mobilità esistente o potenziale, ma solo per “spendere i soldi” ed evitare di restituirli, siamo di fronte a uno sperpero. Costruire infrastrutture che nessuno usa — e che anzi paralizzano il traffico veicolare aumentando lo smog — è la definizione plastica di inefficienza. Non è un investimento, è un costo sociale che la collettività paga due volte: prima con le tasse, poi con il tempo perso in coda.

La rabbia dei cittadini, bollati quasi come retrogradi dall’amministrazione, nasce anche dalla consapevolezza delle occasioni mancate. Esisteva un’alternativa logica, paesaggistica e turistica? Sì. Basti guardare alla zona nord, dove la pista da Paradiso a Sant’Agata ha un senso e una fruizione. Perché non replicare quel modello sulla litoranea sud, da Mili Marina verso Giampilieri? Lì, dove lo spazio e la bellezza dello Stretto avrebbero potuto sposarsi con la mobilità dolce, offrendo un servizio reale a famiglie e sportivi. Invece si è scelto di intervenire chirurgicamente nel caos del centro, in arterie come via Geraci, già teatro di frequenti incidenti, trasformando la viabilità in una pericolosa gincana.

Il “copia e incolla” fotografico esibito dal sindaco non è una prova di forza, ma di debolezza argomentativa. Non basta dire “anche a Milano fanno così” per cancellare le buche, allargare le strade o far apparire magicamente migliaia di ciclisti. Quella a cui assistiamo sembra sempre più una “fiera del consenso” al contrario, dove l’ideologia green, applicata senza criterio sartoriale, finisce per ottenere l’effetto opposto: far odiare le biciclette anche a chi le amerebbe. Un suicidio politico perpetrato con ostinazione e sistematicità, mentre regna l’improvvisazione.

IL POST DI FEDERICO BASILE

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Strade larghe a Milano con tre corsie libere oltre il parcheggio e la pista ciclabile
Strade larghe a Milano con tre corsie libere oltre il parcheggio e la pista ciclabile
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