
La convenzione con il Bambino Gesù scade a San Silvestro: mentre la politica promette il salvataggio, la mancanza dell’atto ufficiale blocca i ricoveri del 2026 e riaccende l’incubo dei viaggi della speranza.

Mancano ventuno giorni. Ventuno giorni all’alba di un 2026 che, per molte famiglie siciliane, rischia di nascere senza una rete di sicurezza. Sulla collina di Taormina, dove solitamente lo sguardo si perde tra l’Etna e lo Ionio, oggi gli occhi sono fissi sui calendari e sui documenti ufficiali. Il Centro di Cardiochirurgia Pediatrica del Mediterraneo (CCPM), eccellenza sanitaria incastonata nell’ospedale San Vincenzo, vive il suo ennesimo paradosso: è operativo, è vitale, ma tecnicamente è in scadenza.
Il confine del 31 dicembre
La data cerchiata in rosso è il 31 dicembre 2025. Quel giorno scadrà la convenzione con il Bambino Gesù di Roma, il polmone tecnico e scientifico che permette a questa struttura di salvare vite. Non è la prima volta che il Centro si trova sull’orlo del precipizio, ma questa volta il silenzio amministrativo pesa più del solito.
Siamo di fronte a quella che i tecnici chiamano “chiusura virtuale”. Sebbene le luci nelle sale operatorie siano accese e i medici siano al loro posto, l’assenza di una firma sul rinnovo impedisce di guardare oltre l’orizzonte di fine anno. Non si possono programmare interventi per gennaio, non si possono accettare nuovi casi complessi a lungo termine. Il reparto è ostaggio del presente, incapace di garantire il futuro.
Da Palermo, i segnali sono di fumo bianco. La Regione Siciliana giura che il Centro di Cardiochirurgia Pediatrica non chiuderà, promettendo una soluzione che integri Taormina nella rete ospedaliera definitiva, aggirando i vincoli del Decreto Balduzzi che vorrebbe accentrare tutto su Palermo. Ma la politica ha i suoi tempi, e la malattia non ne ha.
I sindacati, con la UIL in testa, hanno tracciato una linea netta: senza un atto formale immediato, le parole restano intenzioni. La macchina burocratica è lenta, e ogni giorno perso trasforma l’eccellenza in incertezza. Le famiglie, vere protagoniste di questo dramma, sono sospese. Per loro, la chiusura del CCPM non significherebbe solo la perdita di un servizio, ma il ritorno ai “viaggi della speranza”: valigie pronte, costi insostenibili e la necessità di emigrare al Nord per curare il cuore dei propri figli.
Un presidio di frontiera
Il CCPM di Taormina non è solo un reparto ospedaliero; è un presidio di frontiera. In una terra dove spesso la sanità costringe alla fuga, questo centro ha rappresentato per anni l’orgoglio di poter dire: “Possiamo curarci a casa nostra”.
Oggi, 10 dicembre 2025, la struttura è ancora lì, a combattere. Ma è una resistenza logorante. La battaglia non è medica — su quel fronte hanno già vinto, dimostrando numeri e qualità — ma è tutta di carta bollata. Se quella firma non arriverà prima del brindisi di Capodanno, la Sicilia avrà perso non solo un reparto, ma un altro pezzo della sua dignità.
La speranza è l’ultima a morire, si dice. Ma a Taormina, la speranza ha bisogno di un decreto.











