
Chiusa “temporaneamente” per lavori mai iniziati, svuotata dei suoi ospiti, usata come contenitore di fondi europei prima e PNRR poi. La storia di questa struttura pubblica sembra finalmente incontrare l’interesse della stampa per scoprire quel che diciamo da tempo: lasciata marcire mentre gli anziani sono stati parcheggiati altrove a caro prezzo.

Da lontano, Casa Serena sembra solo un altro edificio qualunque sulla collina di Montepiselli. Da vicino è una dichiarazione di fallimento: cancelli chiusi, vetri rotti, erba alta, nessun rumore di cantiere. L’Amministrazione comunale che racconta di milioni in arrivo per il welfare, per gli anziani, per la “qualità della vita”, ha lasciato il suo principale presidio residenziale in questo stato: murato vivo. Gli anziani non abitano più tra queste mura da anni. Vivono altrove, in strutture convenzionate che il Comune paga puntualmente ogni mese. Qui restano solo le carte, le determine, le relazioni, gli studi di vulnerabilità sismica, le gare “in corso di espletamento”, le intenzioni ed i proclami, oggi il silenzio. Come fantasmi amministrativi.
Ma finalmente se ne riscrive. Si tornano ad accendere i riflettori che svelano quel che abbiamo scritto già da tempo: i fondi sono persi, poi presuntuosamente “rimodulati”, producendo solo degrado e abbandono e costi lievitati che non rendono più appetibile la sua riqualificazione. Oggi i lavori si tenta di ribaltarli temerariamente sul PNRR, ma la prossima scadenza decreta la morte definitiva del progetto, così come delle intenzioni e dei proclami.
TRISTE STORIA DI UNA PERDITA DI FONDI E DI UN ABBANDONO
La storia recente di Casa Serena comincia nel modo in cui cominciano tutte le dismissioni beneducate: con una “chiusura temporanea per lavori”. È la fine del 2022 quando Messina Social City, la partecipata che gestisce i servizi sociali, annuncia che, «nelle more dell’avvio dei lavori di efficientamento energetico», occorre intervenire sulle cucine, spostare il servizio pasti all’esterno, adeguare la struttura. Il punto di rottura si materializza nel dicembre 2022. I Carabinieri del Nucleo Antisofisticazioni e Sanità (NAS) effettuano un accesso ispettivo non annunciato presso la struttura. L’esito è devastante per l’immagine dell’ente gestore: vengono rilevate gravi criticità igienico-sanitarie e strutturali, tali da imporre il sequestro immediato dei locali adibiti a cucina. Questo evento non è un semplice incidente di percorso, ma agisce come detonatore di una crisi latente.
I Nas passano, controllano, trovano criticità, perdite, infiltrazioni, impianti che non reggono più la retorica del “posto sicuro”. Le motivazioni esatte del sequestro e i dettagli del verbale rimangono parzialmente avvolti nel riserbo, ma l’effetto politico è immediato: l’amministrazione si trova con le spalle al muro. Non è più possibile “tirare a campare”. La struttura, nella sua configurazione attuale, è incompatibile con gli standard minimi di sicurezza e igiene richiesti dalla legge. È in questo frangente che matura, o viene accelerata, la decisione dello sgombero totale.
Il 2023 si apre con la soluzione più semplice: si chiude tutto.
L’11 gennaio viene decisa la chiusura della struttura. “Temporanea”, naturalmente.
Di fronte allo scandalo del sequestro, l’Amministrazione Basile e la Messina Social City optano per una strategia comunicativa aggressiva. Invece di ammettere il degrado che ha portato all’intervento dei NAS, la chiusura viene presentata come una mossa tattica necessaria per avviare un grandioso piano di ristrutturazione finanziato dall’Unione Europea.
In una nota congiunta diffusa tra dicembre 2022 e gennaio 2023, il Comune e la Messina Social City dichiarano che il trasferimento degli anziani si rende necessario “al fine di consentire gli interventi previsti dal progetto ammesso a finanziamento a valere su Agenda Urbana PO FESR 2014/2020”. Si sostiene che la presenza degli ospiti sarebbe incompatibile con la natura invasiva dei lavori, che comprendono l’efficientamento energetico e le verifiche sismiche.
La narrazione è seducente: gli anziani non vengono “sfrattati” a causa delle carenze igieniche, ma vengono “spostati temporaneamente” per regalare loro una casa più bella, moderna e sicura. Si promette un rientro in tempi brevi, stimati ottimisticamente in pochi mesi o, al massimo, un anno.
Gli anziani cominciano a essere trasferiti, uno alla volta, all’Ipab Collereale e in altre strutture. Nel gennaio 2023, scatta l’operazione di svuotamento. Circa sessanta anziani, molti dei quali non autosufficienti o con quadri clinici complessi, vengono trasferiti dall’edificio di Montepiselli all’IPAB Collereale. Il Collereale è un’istituzione storica di Messina, un ente pubblico di assistenza e beneficenza dotato di spazi ampi e personale qualificato. L’accordo tra la Messina Social City e l’IPAB viene presentato come una soluzione ideale: gli ospiti rimangono in un contesto cittadino centrale, in locali riscaldati e confortevoli, evitando i disagi di un cantiere aperto. La Presidente della Messina Social City, Valeria Asquini, rassicura le famiglie e l’opinione pubblica sulla “temporaneità” della soluzione, finalizzata esclusivamente a “garantire la qualità assistenziale” durante i lavori.
Nei comunicati si legge che è indispensabile «liberare l’immobile per consentire l’avvio degli interventi finanziati», che c’è un progetto da sei milioni di euro per riammodernare l’edificio, che Casa Serena tornerà più bella e più sicura di prima, con cento posti letto e tutti i crismi delle nuove normative.
La formula è quella collaudata: un sacrificio oggi, un investimento domani.
Tuttavia, dietro la facciata dell’efficienza logistica, emergono presto tensioni economiche. Fonti sindacali, in particolare la UIL FPL, denunciano già nell’ottobre 2023 una situazione allarmante: la Messina Social City, l’azienda speciale del Comune, sarebbe morosa nei confronti dell’IPAB Collereale. Si parla di mesi di mancato pagamento per l’uso dei locali che ospitano gli anziani sfollati. Questo dettaglio è cruciale per comprendere la fragilità dell’intera operazione. Se l’ente gestore non è in grado di onorare regolarmente i costi dell’affitto temporaneo, come può garantire la sostenibilità finanziaria di un’opera pubblica complessa come la ristrutturazione di Casa Serena? Il debito accumulato con il Collereale non è solo un problema contabile, ma un segnale di sofferenza gestionale che l’amministrazione tenta di minimizzare.
Al di là degli aspetti economici, il trasferimento ha un costo umano elevatissimo. La geriatria definisce “sindrome da trasferimento” quel complesso di sintomi (confusione, depressione, disorientamento, aumento della mortalità) che colpisce gli anziani quando vengono sradicati dal loro ambiente abituale. Per gli ospiti di Casa Serena, quella struttura non era un ospedale, ma la loro casa.
Le rassicurazioni sindacali iniziali, come quelle della CISL che parlava di “sinergia con le istituzioni” per scongiurare la chiusura definitiva , lasciano presto il posto alla preoccupazione. Man mano che i mesi passano e il “temporaneo” diventa “indefinito”, la condizione psicologica degli anziani si aggrava, aggravata dall’incertezza sul futuro e dalle voci di ulteriori trasferimenti verso destinazioni ancora più remote.
Sulla carta è un fiorire di numeri e acronimi: Agenda Urbana, PO FESR 2014-2020, fondi regionali FSC, manutenzione straordinaria, efficientamento energetico. Il Comune annuncia tre milioni di euro per la ristrutturazione e l’adeguamento energetico, a cui si aggiungeranno altre risorse. Vengono affidati incarichi per studi di vulnerabilità sismica, progetti di miglioramento, varianti su un “lotto funzionale” pari al 60 per cento del complesso. Le cronache parlano di relazioni depositate, progetti esecutivi approvati, gare in preparazione. Secondo gli atti, Casa Serena è un cantiere in potenza, un cantiere che sta per nascere da un giorno all’altro.
In realtà, a Montepiselli non entra nemmeno una betoniera. Gli unici movimenti sono quelli dei furgoni che portano via letti, armadi, cartelle cliniche. Gli anziani si spostano, la struttura si svuota, la città si abitua all’idea che la casa di riposo comunale non sia più una casa ma un problema da archiviare in attesa di tempi migliori.
Non è la prima volta. Già nel 2014 si parlava di costi insostenibili, di chiusura “quasi certa” per ragioni economiche e di sicurezza. Nel 2018 il sindaco Cateno De Luca aveva detto chiaro e tondo che mantenere Casa Serena così com’era non era più possibile. Troppo caro, troppo vecchio, troppo tutto. La promessa, allora come oggi, era che la chiusura sarebbe stata l’anticamera di una rinascita: si chiude per rifare, per mettere a norma, per rendere più dignitosa la vita degli ospiti. Il trucco è sempre quello: per smontare un pezzo di welfare pubblico non si dice mai che lo si abbandona, si dice che lo si sta migliorando.
Poi arrivano i fondi europei. Il PO FESR Sicilia 2014-2020 mette sul piatto tre milioni per “lavori di manutenzione straordinaria ed efficientamento energetico Casa Serena”. Agenda Urbana inserisce la struttura tra le operazioni simbolo. Quando c’è da intestarsi il merito degli stanziamenti, i toni diventano entusiasti: Messina intercetta risorse per dare una “nuova vita” al pensionato comunale, per trasformarlo in un modello di residenza pubblica. Il lessico è quello delle brochure comunitarie: sostenibilità, inclusione, resilienza. L’impressione è che i soldi non manchino, che il passo successivo – i lavori – sia solo questione di calendario.
Ma il calendario, in queste storie, è sempre un avversario. I fondi europei hanno tempi di spesa e di rendicontazione rigidi, che non si sposano con le lentezze e gli slittamenti dell’amministrazione. Nel 2023 succede la cosa più banale e più devastante: il progetto per Casa Serena a valere su Agenda Urbana viene tolto dall’elenco degli obiettivi annuali. Nella rendicontazione interna del Comune la voce “prosecuzione dei lavori di riqualificazione” appare con una nota che è una pietra tombale: eliminato in sede di monitoraggio e rinviato all’anno successivo. Tradotto in lingua meno ipocrita: nel 2023 non si è fatto quello che bisognava fare, e si spera di rimandare.
C’è un dettaglio che non è un dettaglio: i fondi del PO FESR 2014-2020 vanno impegnati e rendicontati entro il 2023. Se non li spendi, non ti aspettano. Non è una banca di amici, è l’Europa. Quando nel gennaio 2023 si procede allo sgombero della struttura, mancano meno di 12 mesi alla scadenza del 31 dicembre. Chiunque abbia dimestichezza con i lavori pubblici in Italia sa che avviare, eseguire e collaudare lavori per 3 milioni di euro in un edificio storico in meno di un anno è un’impresa ai limiti dell’impossibile. L’amministrazione comunale, pur consapevole di questa “ghigliottina temporale”, ha continuato a rassicurare sulla fattibilità dell’opera. Tuttavia, nel corso del 2023, il decreto di finanziamento definitivo da parte della Regione Siciliana tardava ad arrivare. Il sindaco Basile ha minacciato di segnalare i rallentamenti alla Corte dei Conti regionale, accusando la burocrazia palermitana di mettere a rischio il programma. Ma la realtà, emersa in tutta la sua crudezza alla fine dell’anno, è che i tempi erano ormai maturi per il disastro. Al 31 dicembre 2023, i lavori non erano nemmeno iniziati. I fondi PO FESR, vincolati a quella scadenza, sono stati inevitabilmente persi o disimpegnati. La senatrice Dafne Musolino ha denunciato pubblicamente questo esito, sottolineando come la perdita dei fondi PO FESR fosse la prova provata dell’incapacità dell’amministrazione di gestire le risorse nei tempi previsti.
Quando, nel 2024, si torna a parlare di Casa Serena, il quadro si è ribaltato. Non si discute più su come utilizzare al meglio quei tre milioni, ma su che cosa è rimasto in cassa, se è rimasto qualcosa. Di fronte alla perdita dei fondi originali, l’amministrazione ha tentato una manovra diversiva: la “riprogrammazione”. Nei comunicati ufficiali si è iniziato a leggere che il progetto era “in fase di riprogrammazione su fondi regionali FSC (Fondo per lo Sviluppo e la Coesione)”. Successivamente, si è parlato di un inserimento nel PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) o nel programma PINQuA (Programma Innovativo Nazionale per la Qualità dell’Abitare).
IL SILENZIO STAMPA E L’UNICA VOCE ALTA: QUELLA DELLA MUSOLINO
A dire a voce alta quello che molti sospettavano ci pensa una senatrice, Dafne Musolino, che conosce bene il municipio: mostra una determina fresca di stampa in cui il Comune riaffida, ancora una volta, gli incarichi per le verifiche sismiche sulla struttura. La novità sta in una riga: i fondi non sono più a valere sul PO FESR, che dovevano essere spesi e rendicontati entro dicembre 2023, ma su risorse del PNRR. In pratica, si ricomincia da capo, cambiando semplicemente il capitolo da cui si preleva il denaro.
Secondo Musolino i fondi europei sono stati bruciati dall’immobilismo, persi per incapacità di gestione. Sei anni di progettazioni, studi, richieste di proroga, e alla fine si torna al punto di partenza con altri soldi, altri termini, altri vincoli. È la versione in salsa locale di un classico: si annunciano milioni, si fanno convegni, si stampano slide, e quando si tratta di aprire davvero un cantiere si scopre che il treno è passato e il biglietto è scaduto.
Questa strategia, lungi dall’essere una soluzione, ha rappresentato un salto nel buio.
- Spostare il finanziamento: Passare da PO FESR a FSC o PNRR non è automatico. Richiede nuove procedure, nuove approvazioni e, spesso, l’adeguamento dei progetti a nuovi parametri.
- I vincoli del PNRR: Come notato dalla senatrice Musolino, il PNRR è un piano basato sulle performance e sulle milestones. Se l’amministrazione non è riuscita a rispettare le scadenze “lasche” del PO FESR, come potrebbe garantire la velocità supersonica richiesta da Bruxelles per il PNRR?.
- Il rischio sistemico: Inchieste giornalistiche hanno evidenziato come Messina rischi di perdere fino a 127 milioni di euro di fondi PINQuA/PNRR per ritardi cronici, mettendo Casa Serena in un calderone di opere incompiute insieme all’I-Hub e ad altre infrastrutture.
La risposta del sindaco Federico Basile è nella linea difensiva di tutte le amministrazioni colte sul fatto: non abbiamo perso nulla, abbiamo solo scelto meglio. Il progetto, spiega, non era più da tre milioni ma da tre milioni e settecentomila; le indagini sismiche avrebbero imposto interventi più pesanti, più seri, più costosi. Per coprire la differenza si sarebbe deciso di puntare sul PNRR, missione 5, la nuova miniera da cui estrarre risorse per città e servizi. Niente sprechi, niente improvvisazioni: solo una “rimodulazione” tecnica per avere un progetto più robusto e un finanziamento più adatto. Ma Dafne Musolino risponde, argomenta e, documenti alla mano, inchioda il Sindaco Basile alla realtà documentale ed alle sue responsabilità. Ma quel che stupisce è il silenzio della stampa che non approfondisce, non chiarisce, non riporta.
CHE FINE HANNO FATTO I FONDI DEL PO FESR? ANCHE QUI IL SILENZIO E VUOTI PROCLAMI
Resta un vuoto, però. Se il PO FESR doveva finanziare Casa Serena e ora Casa Serena viene spostata sul PNRR, che ne è stato di quelle risorse? Sono tornate indietro? Sono state dirottate altrove? Sono rimaste un’esercitazione a metà? Sulle carte, tra note a margine, tabelle e delibere, la risposta non è mai lineare. La politica preferisce parlare del presente, della “nuova opportunità”, del cantiere alle porte. Il passato, soprattutto quando sa di occasione sprecata, non è mai un buon argomento di campagna.
Intanto Casa Serena resta chiusa. Il 2024 va, il 2025 arriva con il solito rituale degli annunci. Mentre sui tavoli politici si discuteva di acronimi (FESR, FSC, PNRR), a Montepiselli il tempo si era fermato. Per tutto il 2023 e buona parte del 2024, Casa Serena è rimasta un involucro vuoto. Nessun ponteggio è stato montato, nessun operaio ha varcato la soglia per iniziare i lavori di efficientamento energetico promessi. Le ispezioni effettuate dalle opposizioni e le inchieste giornalistiche hanno documentato uno stato di abbandono inquietante. L’edificio, privo di manutenzione ordinaria (venuta meno con l’assenza degli ospiti), ha iniziato a degradarsi ulteriormente, rendendo paradossalmente ancora più costoso un eventuale recupero futuro. L’apice del grottesco viene raggiunto nel gennaio 2024. Una visita ispettiva della senatrice Musolino svela una realtà che imbarazza l’amministrazione: l’area esterna di Casa Serena, che avrebbe dovuto essere un cantiere recintato e sicuro, è stata trasformata di fatto in un parcheggio per i mezzi della Messina Social City. Pulmini, auto di servizio e veicoli dell’azienda speciale stazionavano laddove dovevano esserci le betoniere. Questa scoperta ha smascherato definitivamente la finzione dei “lavori imminenti”. L’uso dell’area come deposito mezzi ha dimostrato che, nella pianificazione reale dell’ente, non c’era alcuna previsione a breve termine per l’avvio del cantiere. La reazione dell’amministrazione, che ha accusato di “sciacallaggio” chi documentava i fatti, non è riuscita a coprire l’evidenza fotografica di un uso improprio di un bene pubblico destinato (teoricamente) a ben altro.
A settembre una tv locale parla di “svolta”: progetto esecutivo concluso, tre milioni pronti, gara d’appalto imminente, primi lavori in autunno, almeno su un lotto dell’edificio. Sembra il trailer di un film già visto: la partenza è sempre imminente, i nastri sono sempre sul punto di essere tagliati, il problema è che la pellicola non comincia mai. Proclami che nessuno approfondisce, che nessuno verifica, annunci supinamente accettati e riportati come la politica vorrebbe da una stampa che si limita a pubblicare le veline, integrali.
Quando si torna a Montepiselli, a pochi mesi da questi annunci, la realtà, infatti, non ha alcuna voglia di adeguarsi alla narrativa. Nessun operaio, nessun mezzo, nessun cartello di cantiere che valga questo nome. Solo la solita immagine di degrado: infissi sfondati, intonaco che cade, vegetazione che si riprende gli spazi. La scena è talmente prevedibile che non ci sarebbe bisogno di commento, ma qualcuno decide di farlo ugualmente.
«Sono ormai quasi quattro anni che la struttura è chiusa», ricorda oggi il consigliere comunale del Pd, Alessandro Russo. Quattro anni in cui gli anziani sono stati spostati, «dopo tante difficoltà e disagi», in altre strutture che il Comune paga mensilmente; quattro anni in cui, sul fronte dei lavori di ristrutturazione, «tutto tace in maniera sbalorditiva». Le parole sono pesate, ma il senso è semplice: abbiamo smontato una casa pubblica per anziani promettendo che l’avremmo rifatta, abbiamo preso soldi per rifarla, abbiamo spostato i vecchi nel frattempo, e alla fine l’unica cosa che è davvero cambiata è il luogo in cui passano la notte, non la qualità del servizio. Il resto è silenzio. Ma le parole della senatrice Dafne Musolino riecheggiano ancora e i fatti oggi, come allora, dimostrano quanto vuote e strumentali furono quelle accuse di “sciacallaggio” a lei rivolte dall’amministrazione. Perché se vuoi coprire la realtà la strategia è sempre quella: cercare di screditare chi la mostra.
In questa vicenda c’è più di un filo che torna, ostinato. Prima si mette in discussione la sostenibilità economica, poi si agita il tema della sicurezza, poi si annuncia una grande riqualificazione con fondi esterni. Nel frattempo si svuota la struttura, si spostano le persone, si spostano i capitoli di bilancio, si spostano le responsabilità. Una volta finito il giro, l’edificio è chiuso da anni, i vecchi vivono altrove, i fondi sono scaduti o cambiati di nome, il cantiere non si è mai visto. Casa Serena diventa parcheggio improvvisato per i mezzi Messina Social City.
Si dirà che è solo una fase, che i lavori partiranno. Può darsi. Ma intanto la “chiusura temporanea” di Casa Serena ha già prodotto effetti molto permanenti: ha rotto comunità di anziani che vivevano da decenni nello stesso posto; ha trasformato un presidio comunale in un peso morto; ha spostato risorse pubbliche verso sistemazioni esterne, spesso private, a colpi di rette mensili. È il modo più discreto per smontare il welfare: non si taglia in faccia, si lascia che il tempo, la ruggine e la burocrazia facciano il lavoro sporco.
L’ipotesi della ristrutturazione di Casa Serena, ormai palesemente naufragata per mancanza di fondi e scadenze scadute, viene silenziosamente accantonata. Al suo posto, emerge una nuova strategia: comprare un’altra struttura.
La Patrimonio Messina SpA, società in house del Comune deputata alla gestione immobiliare, pubblica un avviso di manifestazione di interesse per l’acquisizione di un immobile da destinare a casa di riposo, utilizzando la formula del Rent to Buy (locazione preparatoria all’acquisto). Questa mossa sancisce la morte politica del progetto “Casa Serena”. Se il Comune cerca attivamente una nuova sede da comprare, significa che non crede più nella possibilità di riaprire quella vecchia in tempi utili.
OGGI, LA STAMPA LA “RISCOPRE”: COME MAI? L’ELEFANTE NELLA STANZA NON PUO’ PIU’ ESSERE IGNORATO
Ci sono numeri, atti, decreti che raccontano questa storia meglio di qualunque commento, ma alla fine la fotografia più sincera è quella che si scatta oggi su quella collina: un edificio pubblico consegnato all’abbandono, una città che finge ancora di crederci, una politica che parla di “rimodulazioni” mentre scorre la sabbia della clessidra europea prima, del PNRR adesso.
Nel frattempo gli anziani continuano a vivere in strutture che non erano nate per sostituire Casa Serena ma per affiancarla. Diventano “ospiti temporanei” di lungo periodo, corpi da spostare tra determine e convenzioni, file in un foglio Excel. Il paradosso è che la parte più fragile della popolazione diventa la più mobile, quella che si lascia muovere con più facilità perché non ha voce, non ha sindacato, non blocca le strade. Protesta, almeno ci prova, ma viene subito costretta al silenzio. E con loro gli operatori “non allineati”.
TUTTO FERMO? TRANNE IL DEGRADO
A Montepiselli tutto è fermo. Si potrebbe pensare che non succeda nulla, ma non è vero. Succede ogni giorno qualcosa: murature che si sfaldano, impianti che invecchiano, costi di recupero che lievitano. Più passa il tempo, più diventa conveniente dire che non vale più la pena investire, che è meglio pensare ad altro, a un progetto nuovo, moderno, magari in un’altra zona. È così che le chiusure temporanee diventano definitive senza doverlo mai ammettere.
Casa Serena doveva essere, nelle intenzioni, il simbolo di un welfare che si rinnova agganciando i treni dell’Europa e del PNRR. È diventata, nei fatti, la prova di come si possono perdere quei treni restando fermi sul marciapiede a discutere di quale carrozza sia più comoda. Gli anziani sono già saliti da un’altra parte, non per scelta ma per necessità. Per loro la storia non è un fascicolo da rispolverare quando arrivano i controlli: è il semplice fatto che la casa promessa non c’è più, e che la città che avrebbe dovuto custodirla ha preferito lasciarla in balia del tempo.
Il resto è un cantiere fantasma disegnato solo a penna sui documenti, mentre la collina guarda in basso e prende atto, ancora una volta, che la politica sociale, a Messina, funziona così: prima si spostano le persone, poi, se resta qualcosa, si aggiustano i muri. E quasi mai succede il contrario.
Non si può chiudere questa storia senza menzionare il contesto politico. L’amministrazione Basile è la continuità diretta dell’era De Luca. La narrazione del “Sindaco che sa fare”, che “sblocca i cantieri”, si infrange violentemente contro lo scoglio di Casa Serena. Qui, la macchina del fare si è inceppata. I fondi persi (denunciati anche dalla stampa amica e poi ostile) rappresentano una ferita nella credibilità del modello “Sud Chiama Nord”. La vicenda Casa Serena rischia di diventare per Basile ciò che altre incompiute sono state per i suoi predecessori: la prova che la propaganda, senza capacità amministrativa tecnica, non basta a governare i processi complessi del welfare e dei lavori pubblici.
Adesso non rimane che attendere la scadenza del PNRR, per poi fare i conti davvero.











