
Palazzo assediato: “Re” Schifani muto mentre la decima inchiesta travolge la Regione

di Giuseppe Bevacqua
Il Governatore è nudo, ma soprattutto è muto. Seduto nell’auto blu che lo scorta verso il Palazzo, Renato Schifani incassa la notizia. La Procura di Palermo ha chiesto l’arresto per Totò Cuffaro. Non un nome qualunque, ma l’“alleato più leale”, la “colonna portante” di un centrodestra che in Sicilia assomiglia sempre più a un fortino assediato.
Assediato dalla magistratura, non dall’opposizione. L’inchiesta su Cuffaro è solo l’ultima. È la decima, dall’inizio della legislatura, che scuote le fondamenta della Regione. E di fronte all’ennesima tempesta giudiziaria, il Presidente sceglie il silenzio.
Nessuna difesa dell’amico, nessun commento politico. Solo il gelido rituale di un post su Facebook, un’asettica dichiarazione di “piena fiducia nella magistratura”, mentre dall’entourage filtra la promessa tardiva del “pugno duro”.
Schifani resta barricato a Palazzo d’Orleans. Non si muove nemmeno quando, nel palazzo di fronte, all’Assemblea Regionale, l’assessora alla Sanità Faraoni viene messa sotto assedio dalle opposizioni. L’aula è semivuota. A difendere la Dc, l’unico presente è Auteri, l’ex meloniano passato con Cuffaro dopo lo scandalo dei contributi ai familiari.
Il vero bersaglio, però, è il Governatore assente. “Schifani abbia il coraggio di rispondere ai siciliani sugli scandali“, tuonano PD e M5S. Ma l’assessora Faraoni bypassa le domande, ignora il terremoto giudiziario, tira a campare.
È un sistema che scricchiola, non un incidente di percorso. Questo è il bollettino di una classe dirigente allo sbando. Dieci inchieste per reati contro la pubblica amministrazione. C’è il Presidente dell’Ars, il meloniano Galvagno, che rischia il rinvio a giudizio per peculato e corruzione. C’è l’assessora FdI Amata, invischiata in presunti scambi di favori (un’assunzione per contributi pubblici).
C’è la storia dell’autonomista Di Mauro, dimessosi un attimo prima di ricevere un avviso di garanzia per tangenti sull’acqua. E c’è il caso emblematico di Luca Sammartino, il leghista vicepresidente della Regione, fermato per corruzione e poi, scaduta l’interdizione, prontamente richiamato in giunta da Schifani. Come se nulla fosse.
C’è il deputato Mpa Castiglione, a processo per scambio politico-mafioso. C’è il funzionario Librizzi, ai domiciliari per aver chiesto soldi in cambio dello sblocco di fatture.
Ma il cancro vero, la madre di tutti gli scandali, resta la Sanità. Un moloch da 10 miliardi di euro l’anno, metà del bilancio regionale. È lì che il sistema si alimenta. A giugno finisce ai domiciliari Sciacchitano, nominato dallo stesso Governatore a capo dell’organismo di valutazione delle performance. A settembre, tocca a Francesco Cerrito, dirigente dell’Asp di Palermo, arrestato mentre intascava una mazzetta sui rimborsi delle cure domiciliari ai malati terminali.
Ora, il cerchio si chiude di nuovo su Cuffaro. L’alleato più fedele, già finito in cella nel 2007 per un’inchiesta partita, guarda caso, proprio dalla sanità. Non è un inciampo. Rischia di essere la slavina politica che travolgerà il Presidente.









