Dalle intercettazioni emergono i piani dell’ex portavoce De Capitani e del presidente Galvagno, ora indagati per corruzione e peculato. L’ipotesi della Procura di Palermo: fondi pubblici destinati a finanziare eventi gestiti da persone vicine al presidente dell’Ars.

PALERMO – Il 2026 doveva essere un anno di grandi celebrazioni, ma le aspettative si sono infrante contro un’inchiesta giudiziaria. Al centro del ciclone ci sono la Fondazione Federico II, braccio culturale del parlamento siciliano, il suo presidente Gaetano Galvagno e la sua ex portavoce, Sabrina De Capitani, dimessasi dopo essere finita sotto inchiesta per corruzione e peculato.
L’anno prossimo ricorrerà il trentesimo anniversario della Fondazione, un’occasione per la quale si preparava “un botto di eventi”. È quanto emerge dalle intercettazioni dei finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Palermo, depositate agli atti dell’inchiesta. Dalle carte investigative emerge un quadro in cui Sabrina De Capitani avrebbe assunto un ruolo decisionale all’interno della Fondazione ancor prima di formalizzare un incarico di consulenza di 18 mesi.
A confermarlo ai militari è stata la direttrice amministrativa della Fondazione, Antonella Razete. “Fu direttamente il presidente Galvagno a comunicarmi oralmente che bisognava affidare il suddetto incarico alla De Capitani, precisando durata e importo del compenso“, ha dichiarato.
Questa ingerenza avrebbe creato attriti con l’allora direttrice generale Patrizia Monterosso, a cui Galvagno non rinnovò l’incarico nel marzo dello scorso anno. Un destino paradossale le accomuna oggi: sia Monterosso che De Capitani sono indagate per corruzione. L’accusa è di aver ricevuto un quadro dall’artista Omar Hassan come presunto ringraziamento per una mostra organizzata a Palazzo dei Normanni.
Le microspie, nel giugno 2024, hanno captato i preparativi per il trentennale. Sabrina De Capitani contattava l’imprenditrice Marcella Cannariato, anche lei indagata, per “inventare un bell’evento sull’intelligenza artificiale“. La De Capitani, rassicurando sulla fattibilità del progetto, affermava: “gliel’ho detto Gae (Gaetano Galvagno, ndr) e che i soldi ci sono“.
L’ipotesi dei pubblici ministeri è che si stesse per replicare un sistema illecito: utilizzare fondi pubblici per finanziare eventi e affidarne la gestione a persone dell’entourage di Galvagno, a cominciare dalla stessa De Capitani. L’inchiesta, di fatto, avrebbe mandato in fumo “il botto di eventi”.
Lo scenario è precipitato il 9 gennaio scorso, con le perquisizioni della Guardia di Finanza nelle abitazioni della De Capitani a Monza e a Palermo. Subito dopo, le cimici hanno iniziato a registrare il panico tra gli indagati. L’ex portavoce descriveva un Galvagno “agitatissimo”, mentre insieme al segretario particolare Giuseppe Cinquemani cercavano di interpretare gli atti giudiziari per capire la direzione delle indagini.
Le conversazioni post-perquisizione rivelano la preoccupazione del presidente dell’Ars. “Ma c’era intercettazione o c’era…?“, chiedeva a De Capitani, che lo rassicurava: “No niente, non siamo intercettati“. La domanda successiva di Galvagno resta sospesa nel vuoto: “E chi ha denunciato allora?“. Un interrogativo a cui la stessa De Capitani aveva tentato di dare una risposta, ipotizzando in un’altra conversazione che tutto fosse nato dalla “soffiata” di qualcuno a cui lei “avrebbe impedito” di organizzare una mostra all’Ars.

