
Tre misure cautelari per il ricatto a un’impresa catanese impegnata nei lavori di edilizia popolare. La richiesta di 250mila euro arrivava in diretta video dai detenuti: “O paghi o salta tutto”. Decisiva la denuncia immediata del titolare.

MESSINA – Non più i “pizzini” di carta o gli ambasciatori silenziosi, ma la tecnologia usata come arma di intimidazione diretta. Le sbarre del carcere non bastano a fermare le richieste estorsive, che ora viaggiano sugli schermi degli smartphone in videochiamata. È questo il quadro inquietante emerso dall’operazione condotta questa mattina dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Messina, che ha portato all’esecuzione di tre misure di custodia cautelare.
Su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, il G.I.P. del Tribunale di Messina ha firmato l’ordinanza per tre soggetti, accusati a vario titolo di tentata estorsione e accesso indebito a dispositivi di comunicazione, con l’aggravante del metodo mafioso. Nel mirino degli inquirenti sono finiti Giuseppe Surace 39enne e Salvatore Maiorana 33enne, già detenuti rispettivamente a Palermo e Agrigento, e Giovanni Aspri 24enne che si trovava ai domiciliari. A rendere la vicenda ancora più grave, il coinvolgimento di un minorenne come “braccio operativo” sul territorio.
I fatti risalgono al primo dicembre scorso e si sono svolti nel cuore di un progetto simbolo per la città: il cantiere per la riqualificazione e la costruzione di alloggi popolari nell’area di “Fondo Fucile”. La dinamica ricostruita dagli inquirenti è da manuale del crimine 2.0. Il 24enne e il minorenne si sarebbero presentati fisicamente al cantiere dell’impresa edile catanese. Invece di limitarsi a portare un messaggio, hanno chiesto di parlare con il responsabile e hanno avviato una videochiamata. Dall’altra parte dello schermo, direttamente dalle loro celle, c’erano il 39enne e il 33enne, pronti a dare forza intimidatrice alla richiesta.
La pretesa era ingente: 250mila euro, una somma poi “mitigata” a 100mila euro. Se l’impresa non avesse pagato, la minaccia era quella di utilizzare ordigni esplosivi per far “saltare” il cantiere. Il tentativo, però, si è scontrato con la fermezza del titolare dell’impresa, che non ha ceduto al ricatto e ha sporto immediata denuncia. Questo ha permesso ai Carabinieri di attivarsi tempestivamente, raccogliendo gravi indizi a carico degli indagati e bloccando sul nascere l’azione criminale.
Il G.I.P. ha riconosciuto l’aggravante del metodo mafioso non solo per i precedenti giudiziari dei soggetti coinvolti, che hanno evocato la loro appartenenza alla criminalità organizzata messinese, ma anche per le modalità terroristiche della minaccia, basata sulla prospettazione di attentati dinamitardi.










