
L’antidoto legale al bavaglio: come l’articolo 96 del Codice di procedura civile punisce la malafede e la lite temeraria.

C’è un modo elegante per dire “stai zitto” senza usare le mani. Si chiama SLAPP (Strategic Lawsuits Against Public Participation). In italiano suona meno esotico ma rende meglio l’idea: querele temerarie o “liti bavaglio”. Non sono azioni legali fatte per vincere un processo. Sono fatte per sfinire.
È un fenomeno che attraversa l’Italia come una faglia sismica silenziosa, colpendo chi fa inchiesta, chi denuncia, chi scrive. L’obiettivo non è la verità, ma il logoramento: ti porto in tribunale, ti costringo a pagare avvocati per anni, ti tolgo il sonno e la serenità. Alla fine, anche se vinci, hai perso.
L’arma: come funziona la macchina del fango legale
Il meccanismo è semplice ma efficace. Un politico, un imprenditore o una multinazionale si sente “offeso” da un articolo. Invece di chiedere una rettifica, spara una richiesta di risarcimento danni astronomica (milionaria) o una querela penale per diffamazione. Il giornalista o l’attivista, spesso precario o freelance, si trova con una spada di Damocle sulla testa. La chiamano “chilling effect”, l’effetto congelamento: la prossima volta, prima di scrivere un nome potente, ci penserai due volte. O magari non lo scriverai. È l’autocensura indotta dalla paura del portafogli.
Lo scudo bucato: l’Articolo 96
La legge italiana, sulla carta, ha gli anticorpi. Il baluardo è l’Articolo 96 del Codice di Procedura Civile (c.p.c.), la norma sulla responsabilità aggravata.
Ecco cosa prevede per chi abusa della giustizia:
- Il risarcimento (comma 1): Se perdi la causa e il giudice accerta che hai agito con mala fede o colpa grave, devi risarcire i danni alla controparte.
- La sanzione (comma 3): Questa è la vera chiave di volta, introdotta nel 2009. Il giudice può, anche d’ufficio (cioè senza che nessuno glielo chieda), condannare chi intenta una lite temeraria a pagare una “somma equitativamente determinata”. Non è solo un risarcimento, è una punizione per aver intasato i tribunali con cause pretestuose.
Per quanto riguarda le spese nude e crude (avvocati, bolli), vige il principio generale della soccombenza (art. 91 c.p.c.): chi perde paga le spese legali di chi vince. Ma nelle SLAPP, il querelante potente mette in conto queste spese come “costo d’impresa” per zittire l’avversario. Per il querelato già questo produce l’effetto sperato.
La realtà: perché la norma resta nel cassetto?
Se l’arma c’è, perché si continua a sparare a salve? La norma viene applicata col contagocce. I motivi sono culturali e sistemici:
- Prudenza dei giudici: C’è una storica resistenza a sanzionare chi si rivolge alla giustizia. Il diritto di difesa (art. 24 della Costituzione) è sacro, e i magistrati hanno paura che punire chi fa causa possa scoraggiare i cittadini dal difendere i propri diritti.
- L’onere della prova: Dimostrare la “mala fede” o la “colpa grave” è difficile. Non basta avere torto; bisogna avere torto marcio e saperlo.
- Il penale: Molte azioni bavaglio passano dal codice penale (querela per diffamazione). Qui l’archiviazione è frequente, ma ottenere un risarcimento per aver subito una querela ingiusta richiede spesso di iniziare una nuova causa civile. Un calvario nel calvario.
I numeri del danno
I dati dell’osservatorio Ossigeno per l’Informazione sono un bollettino di guerra. Migliaia di giornalisti minacciati ogni anno. Il dato più sconcertante? Circa il 90% delle querele per diffamazione si conclude con un nulla di fatto (archiviazione o assoluzione). Significa che nove volte su dieci, l’azione legale era infondata. Il danno per il querelato è enorme:
- Economico: Spese legali anticipate (spesso migliaia di euro).
- Psicologico: Anni di udienze e incertezza.
- Professionale: La credibilità messa in discussione e il tempo sottratto al lavoro.
Contromisure: l’Europa si muove, l’Italia arranca
Qualcosa si muove all’orizzonte. L’Unione Europea ha varato una Direttiva Anti-SLAPP (la cosiddetta “Daphne’s Law”, in memoria della giornalista maltese Daphne Caruana Galizia uccisa nel 2017). La direttiva prevede:
- Il rigetto anticipato delle cause manifestamente infondate (per non trascinare i processi per anni).
- Sanzioni dissuasive per chi abusa.
- Supporto legale alle vittime.
L’Italia dovrà recepirla, ma i tempi sono lunghi e la politica spesso nicchia. Nel frattempo, l’unica difesa resta la solidarietà della categoria e la tenacia di chi non smette di scrivere, nonostante la minaccia della carta bollata.
Qualcosa sta cambiando… i segnali concreti emersi dalle sentenze più recenti:
1. La “punizione” senza richiesta (Cassazione 2025, ordinanza n. 4702) Questa la più recente, febbraio 2025. La Corte ha ribadito un principio che spesso i tribunali dimenticano: per applicare la sanzione “punitiva” (art. 96 comma 3) non serve che la vittima lo chieda e non serve dimostrare un danno specifico. Basta che il giudice veda la malafede o la colpa grave.
- Il caso: Una lite tributaria, ma il principio vale per tutti. La Cassazione ha detto chiaramente che l’abuso del processo va punito in sé, perché intasa la giustizia e danneggia la collettività. È una sanzione pubblica, non un semplice risarcimento privato.
2. L’abuso è anche “insistere” (Cassazione 2025) Un’altra ordinanza recente (aprile/maggio 2025) ha colpito chi, pur avendo torto marcio, continua a fare ricorso, appello, cassazione. La Corte ha definito “abuso del processo” la perseveranza in un giudizio palesemente infondato. Non è più solo “ho provato a farti causa”, è “ti sto perseguitando legalmente”. Questo è un assist formidabile per i giornalisti perseguitati da querele seriali.
3. Diffamazione e “danno punitivo” Sul fronte specifico della diffamazione, si conferma l’orientamento per cui la sanzione ex art. 96 comma 3 ha natura di “danno punitivo” (punitive damages). Significa che se un potente ti querela sapendo di mentire, il giudice può condannarlo a pagarti una somma extra non tanto per risarcire te, quanto per punire lui e scoraggiare gli altri (funzione deterrente).
- Nota bene: Le cifre non sono ancora quelle americane. Non ci sono condanne da milioni di dollari, ma si comincia a vedere giudici che liquidano somme forfettarie (es. 2-3 volte le spese legali) senza bisogno di prove schiaccianti sul danno subito.
Pertanto…
La giurisprudenza del 2025 sta dicendo ai giudici di merito: “Coraggio, usatelo questo potere!”. Non serve più aspettare che la vittima pianga miseria o provi danni impossibili. Se l’azione è un “bavaglio” evidente o una perdita di tempo dolosa, la mazzata deve arrivare d’ufficio.
Siamo ancora lontani dall’automatismo, ma lo scudo dell’articolo 96 sta diventando un po’ meno di carta e un po’ più di metallo.









