
L’architetto Principato denuncia la manovra diversiva sul bene vincolato: mentre i pregevoli mosaici cadono a pezzi, il Comune improvvisa l’ennesima iniziativa “balneare” nel salotto buono.
E sulla tutela della Soprintendenza torna l’ombra del caso Passeggiata a Mare o della storica Santa Maria Alemanna?

Sotto le volte della Galleria Vittorio Emanuele III, inaugurata in un lontano agosto del 1929 dal genio di Camillo Puglisi Allegra, si consuma l’ennesimo paradosso messinese. Lì dove l’architettura eclettica dovrebbe imporre un religioso silenzio o quantomeno un rispettoso decoro, l’amministrazione comunale ha pensato bene di stendere un “Gioco dell’oca”. Un’iniziativa ludica, si dirà, per allietare le feste. O forse, come suggerisce con la consueta verve l’architetto Nino Principato, una manovra diversiva degna del miglior illusionismo politico.
Principato, che di quella storia è memoria storica e custode morale, non usa il fioretto ma la sciabola. In un post che ha il sapore della sentenza, denuncia quella che ai suoi occhi appare come una beffa: «Non c’era nulla di meglio per sviare l’attenzione dallo scempio del pregevole mosaico degradatissimo della pavimentazione… che installarvi il gioco delle papere!». Il riferimento è preciso: si guarda il dito – o l’oca, in questo caso – per non guardare la luna, ossia un pavimento, bene pubblico e prezioso, che versa in condizioni pietose.
Ma la questione travalica il gusto estetico o l’opportunità culturale per atterrare sul terreno scivoloso della legalità amministrativa. La Galleria è un bene vincolato ope legis. Copertura e pavimentazione sono di proprietà pubblica. In un Paese normale, e in una città che non abbia deciso di abdicare alle regole, ogni intervento su un bene di tale caratura necessita del placet della Soprintendenza.
La domanda, dunque, non è retorica ma sostanziale: l’amministrazione Basile si è ricordata di chiedere il permesso, nonostante la copertura è visibilmente removibile? O siamo di fronte all’ennesima dimenticanza, figlia di quella sciatteria burocratica che considera il patrimonio storico non un’eredità da preservare, ma un vuoto da riempire a piacimento?
Il precedente, d’altronde, non induce all’ottimismo. Il pensiero corre inevitabilmente alla Passeggiata a Mare e a quella scalinata storica divelta con la disinvoltura di chi ristruttura un tinello di periferia. Lì si consumò uno strappo, qui si rischia la farsa. Per non parlare di quel che è accaduto con la storica Santa Maria Alemanna. Messina sembra essersi trasformata in una prateria senza sceriffo, dove l’iniziativa estemporanea detta legge e la tutela del bello è un orpello fastidioso.
E la Soprintendenza? Cosa ne pensa l’ente preposto alla tutela? Ha concesso l’autorizzazione? Se così non fosse passerebbe il principio che su un bene vincolato si può fare ciò che si vuole in nome dell’intrattenimento effimero, allora avremmo sdoganato il liberi tutti. E a quel punto, tra un mosaico degradato e una casella del via, l’unica a finire “in prigione” – metaforicamente s’intende – sarà la credibilità delle istituzioni che dovevano vigilare e non l’hanno fatto.













