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Carcere di Gazzi, l’atto d’accusa della Garante: «Malati abbandonati e gelo in cella, dignità calpestata»

- 15/12/2025
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La relazione di Lucia Risicato al Consiglio Comunale svela uno spaccato drammatico. Detenuti gravi senza assistenza adeguata, divieto di indumenti caldi e il silenzio del Provveditorato. «Emergenza umanitaria, non solo giudiziaria»

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MESSINA – Non è il sovraffollamento, per una volta, la piaga principale. A Messina il male oscuro del carcere ha il volto di malati oncologici lasciati senza cure adeguate, di detenuti costretti a patire il freddo per “ragioni di sicurezza” e di un’istituzione che fatica a garantire i diritti minimi costituzionali. È un j’accuse lucido e documentato quello che emerge dalla relazione della Garante dei diritti delle persone private della libertà personale, Lucia Risicato, depositata sul tavolo del Consiglio Comunale. Un documento che non si limita ai numeri, ma entra nel vissuto quotidiano della sofferenza detentiva.

La matematica del disagio: i numeri reali

Il carcere di Gazzi vive un paradosso unico nel panorama siciliano: non c’è sovraffollamento, ma mancano gli spazi. I dati citati nella relazione sono inequivocabili: a fronte di una capienza teorica di 302 posti, i detenuti presenti sono 202. Tutto bene? No. Perché circa 90 posti letto sono tecnicamente “inagibili”. Intere sezioni necessitano di ristrutturazioni strutturali mai partite. Questo rende la gestione degli spazi un “tetris” quotidiano per la Direttrice Angela Sciavicco, costretta a operare in una struttura che invecchia a vista d’occhio.

Sanità penitenziaria: il caso del detenuto afasico

È nel capitolo sanitario che la relazione scende nei dettagli più strazianti. Oltre ai pazienti con insufficienza renale al quarto stadio, la Garante ha documentato il caso limite di un detenuto afasico e colpito da ictus, totalmente incapace di badare a se stesso, la cui permanenza in cella violava ogni principio di umanità. Solo grazie a un lavoro di “tessitura” istituzionale tra l’ufficio della Garante e l’ASP penitenziaria, si è riusciti a individuare per lui (e per altri due detenuti con “patologie multiple”) una collocazione in un centro assistenziale specializzato. «Non è accettabile – si legge tra le righe del report – che il carcere diventi un lazzaretto per chi non ha dove andare». La Direttrice ha sempre messo in evidenza come il principale problema della popolazione reclusa sia quello del trattamento dei detenuti tossicodipendenti. «Rispetto a questa tipologia – scrive la Risicato – di detenuti il carcere rivela tutti i suoi limiti, in assenza di trattamenti terapeutici che proprio il carcere, per sua natura, non è in grado di fornire».

Il “Gelo di Sicurezza” e la beffa dei ventilatori

La relazione svela retroscena inediti sulla vita materiale in cella.

  • L’estate: Gazzi si è salvata dalla crisi idrica che ha messo in ginocchio Messina grazie a una conduttura dedicata. Tuttavia, i detenuti hanno boccheggiato per il caldo a causa di una circolare del DAP (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) che limita tassativamente a uno il numero di ventilatori consentiti per cella. Un apparecchio per più persone, in stanze roventi: una regola burocratica che ignora la realtà climatica siciliana.
  • L’inverno: La recente stretta sulla sicurezza, seguita al ritrovamento di droga e micro-telefoni, ha portato al divieto di ingresso per i capi di abbigliamento in pile. Una misura preventiva (il tessuto potrebbe nascondere oggetti o essere usato impropriamente) che però, senza alternative fornite dall’amministrazione, condanna i reclusi al freddo, specialmente chi non ha una famiglia alle spalle in grado di fornire vestiario “a norma”.

L’emergenza organico e l’inchiesta giudiziaria

La carenza di personale è un’altra ferita aperta. La pianta organica della Polizia Penitenziaria soffre una scopertura cronica di circa 20 unità. Una situazione già critica, aggravata drammaticamente – nota la Garante – dalla recente inchiesta della DDA di Messina che ha portato alla sospensione di 9 agenti, indagati per presunti traffici illeciti all’interno dell’istituto. Questo vuoto in organico si ripercuote sulla sicurezza e sui diritti: meno agenti significa meno attività trattamentali, meno scuola, meno cortile. Anche il fronte educativo è al collasso: solo tre funzionari giuridico-pedagogici (gli educatori) per duecento persone. Un numero che rende quasi impossibile costruire percorsi di reinserimento individualizzati.

Il reparto femminile: apatia e solitudine

Un focus specifico è dedicato alle donne recluse a Gazzi. La Garante descrive una popolazione femminile caratterizzata da bassa scolarizzazione, spesso proveniente da contesti di marginalità estrema. A differenza della sezione maschile, dove talvolta emerge rabbia o rivendicazione, nel femminile la Garante ha registrato un clima preoccupante di apatia e depressione. Donne che sembrano aver rinunciato a reagire, vivendo la detenzione in uno stato di abbandono psicologico che richiederebbe un supporto specialistico ben più massiccio di quello attuale.

L’altra prigione: quella della burocrazia. «Senza carta d’identità niente diritti»

Se le condizioni sanitarie preoccupano, la “gabbia burocratica” rischia di essere altrettanto opprimente. La relazione della Garante apre uno squarcio su un paradosso amministrativo che blocca la vita dei reclusi: l’assenza di documenti validi. Risicato segnala come «priorità assoluta» l’istituzione di uno sportello anagrafe del Comune direttamente all’interno del carcere. Non è una questione formale, ma di sopravvivenza giuridica. Emblematico il caso, citato nel dossier, di C.G., un detenuto appartenente al circuito “protetti”: l’uomo attende dallo scorso novembre il rinnovo della carta d’identità. Senza quel pezzo di carta, non può avviare le pratiche per ottenere l’invalidità civile a cui avrebbe diritto. Un cortocircuito che lo lascia in un limbo di invisibilità.

A questo si aggiunge la barriera economica: per ottenere certificazioni e documenti, i detenuti devono spesso sborsare circa sessanta euro in marche da bollo. Una cifra che per un cittadino libero può apparire banale, ma che per la maggior parte della popolazione carceraria rappresenta, scrive la Garante, «un ostacolo insormontabile». La richiesta è chiara: esenzione totale per chi è privato della libertà.

Il limbo dei malati cronici e le “Case di reinserimento”

C’è poi una fascia di detenuti che il sistema non sa dove collocare. Sono coloro che soffrono di patologie croniche o irreversibili, ma che non rientrano nei rigidi parametri per l’accesso alle RSA, né in quelli dei centri per tossicodipendenti o per pazienti psichiatrici. Rigettati dalle strutture sanitarie esterne e incompatibili con il carcere, restano prigionieri di un vuoto assistenziale denunciato con forza da tutto il personale penitenziario.

Per chi invece potrebbe uscire, spesso manca il “dove”. La relazione evidenzia la necessità impellente di strutture residenziali per chi non ha famiglia o una casa: l’assenza di un domicilio, infatti, impedisce l’accesso alle misure alternative e ai permessi premio, vanificando il percorso rieducativo. La proposta della Garante è quella di istituire le cosiddette «case di reinserimento»: strutture ponte destinate ad accogliere i condannati con un residuo di pena inferiore a un anno. Sarebbe l’unico modo per abbattere quello «stigma sociale» che terrorizza i detenuti: la paura che, una volta espiata la pena, il casellario giudiziale diventi un marchio indelebile che preclude ogni possibilità di lavoro.

In tal senso, l’appello al Comune di Messina è diretto: serve un patto per il lavoro. La Garante suggerisce la creazione di protocolli d’intesa per i lavori di pubblica utilità (con adeguata copertura assicurativa) e il coinvolgimento di cooperative sociali che possano valorizzare le competenze professionali degli ex detenuti, trasformando il tempo della pena in un investimento per la collettività e non in un costo sociale a perdere.

Il silenzio del Provveditorato

La relazione punta il dito contro il “muro di gomma” del Provveditorato Regionale (PRAP). A fronte delle numerose segnalazioni inviate da Messina per sbloccare trasferimenti urgenti o richiedere interventi strutturali, la risposta è stata spesso il silenzio. Una mancanza di interlocuzione che isola la Direzione del carcere e la Garante stessa, lasciando Gazzi a gestire le sue emergenze come un’isola nell’isola.

Lucia Risicato
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