
In un panorama segnato dal silenzio o da voci di chi non aveva strumenti per incidere davvero, quello della Musolino è stato l’unico appello politico concreto.

MESSINA — C’è il nuovo indirizzo, c’è anche una data e, soprattutto, c’è la firma del Ministero. L’Archivio di Stato di Messina non finirà in mezzo a una strada. Dal 2026 gli uffici si trasferiranno in via Dogali 50, nel cuore della città. Una soluzione tampone che evita il peggio, arrivata in extremis e con il fiato sul collo della politica. Ma se la “testa” dell’Istituto torna a respirare in centro, il “corpo” — ovvero la sterminata mole di documenti storici — rischia di restare smembrato. La partita, insomma, è tutt’altro che vinta.
La notizia dell’individuazione dei nuovi locali arriva a stretto giro dall’offensiva parlamentare lanciata da Dafne Musolino. La senatrice messinese di Italia Viva aveva appena depositato un’interrogazione urgente rivolta al Ministro della Cultura, Alessandro Giuli, chiedendo conto di un ritardo che appariva inspiegabile. Nel suo atto ispettivo, la Musolino aveva messo nero su bianco le date del disastro annunciato: un contratto di locazione disdettato dal Ministero già nel 2020 e scaduto formalmente il 1° gennaio 2022. In un panorama segnato dal silenzio o da voci di chi non aveva strumenti per incidere davvero, quello della Musolino è stato l’unico appello politico concreto. Un atto che si è posto come spartiacque, riuscendo a forzare la mano e a sbloccare, almeno in parte, una situazione che sembrava compromessa.
La senatrice chiedeva “per quale motivo non sia stata avviata fin dal 2022 un’effettiva pianificazione per reperire una sede alternativa” , denunciando il rischio concreto di dispersione del patrimonio documentario a fronte dello sfratto esecutivo previsto per fine 2025. L’intervento del Ministro Giuli e della Direzione Generale Archivi ha sbloccato l’impasse amministrativa, ma la soluzione trovata risponde solo in parte ai timori sollevati.
I nuovi locali di via Dogali, individuati dalla Soprintendenza archivistica della Sicilia, coprono una superficie di 240 metri quadrati. Dieci stanze, una sala studio con quattro postazioni, posizione strategica vicino alla stazione e agli aliscafi. Perfetto per la logistica degli impiegati e per la consultazione digitale. Ma la matematica suggerisce che è una soluzione solo in parte: l’Archivio di Stato di Messina custodisce circa 8.000 metri lineari di documentazione, 720 pergamene (alcune risalenti al 1184) e una biblioteca di 10.000 volumi.
Dove finirà tutto questo? Non in via Dogali, dove lo spazio basta a malapena per il personale e l’utenza “leggera”. Il grosso dell’archivio materiale, la carta che racconta secoli di storia messinese, è destinato a rimanere nei depositi di Riposto. Una delocalizzazione di fatto che spezza l’unità dell’istituto e costringe i ricercatori a una fruizione “mutilata”.
Resta l’amaro in bocca per le grandi occasioni mancate citate proprio dalla Musolino nella sua interrogazione. La senatrice aveva chiesto lumi sulle trattative per l’Istituto “Don Bosco” e se fossero state valutate opzioni più capienti e prestigiose come l’ex Ospedale Margherita o gli immobili ex Poste-Ferrovie di via Torino.
Si salva l’istituzione, si garantisce un presidio in centro, ma la “casa” della memoria messinese resta divisa. Una soluzione che tampona l’emergenza sfratto, ma che non chiude definitivamente la ferita culturale della città.










