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Il furto del futuro: gli scandali della sanità di cui i nostri giovani non ne possono più e per i quali NESSUNO si indigna abbastanza

- Ultima Ora
05/12/2025

Oltre le carte dell’inchiesta sull’ex primario, c’è il dramma di una città che respinge i suoi figli migliori. Un sistema feudale che mortifica il merito e regala altrove quel capitale umano costato sacrifici e rinunce alle famiglie messinesi.

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Giuseppe Bevacqua

di GIUSEPPE BEVACQUA

La notizia arriva di mattina presto come tutte quelle di cronaca degli arresti ed è una di quelle che non vorremmo più leggere. Un nome importante, un cognome che in riva allo Stretto evoca storia e potere, Francesco Stagno d’Alcontres, è finito agli arresti domiciliari. Si parla di corruzione, di truffa, di un sistema di “sponsorizzazioni” da parte di case farmaceutiche che avrebbe fruttato, secondo l’accusa, centinaia di migliaia di euro (700 mila dice la cronaca delle note stampa). C’è anche un registro con 31 indagati, ci sono le intercettazioni, c’è la solita commedia umana di pressioni e favori. Una “musica” che sentiamo da tempo a Messina e della quale siamo davvero stanchi perché dimostra come nulla cambia mai davvero.

Ma non è di cronaca giudiziaria che voglio parlare. Di quella si occuperanno i magistrati, e fino a sentenza definitiva vale per tutti la presunzione d’innocenza. Ciò che preme, e che ferisce, è l’aria che si respira attorno a queste vicende. Un’aria viziata, stantia, intollerabile.

Il vero scandalo non è solo la presunta mazzetta. È l’idea che la sanità, luogo sacro dove si incontra la fragilità dell’uomo, sia diventata un feudo. Un sistema dove il merito è un orpello inutile, fastidioso, e dove ciò che conta è la relazione, l’appartenenza, lo scambio. Questo meccanismo, rodato e perverso, non ruba solo denaro pubblico. Ruba qualcosa di molto più prezioso: la speranza. Ma c’è da chiedersi: è novità? E’ scandalo impensabile? No davvero. Il sistema Messina è completamente imperniato ed immerso in queste realtà che emergono improvvisamente ma che delle quali spesso ne sono a conoscenza in molti. Solo che si attende che la Magistratura decida finalmente di agire e di porre allo scoperto le proprie indagini. E’ una macchina lenta, ma che arriva allo scopo in modo inesorabile.

Nel frattempo, però, nel silenzio di chi potrebbe e dovrebbe utilizzare le risorse per scongiurarlo, Messina si sta svuotando. Chiunque abbia fatto un giro alla stazione, al porto o all’aeroporto di Catania negli ultimi anni lo sa. Vede partire i treni, vede le navi staccarsi dalla banchina, gli aerei decollare e sopra ci sono i figli migliori di questa terra. Sono le “luci” giovani, menti brillanti su cui le famiglie messinesi hanno investito tutto: risparmi, rinunce, notti insonni, l’orgoglio di vederli laureati. Genitori che hanno creduto che lo studio fosse l’ascensore sociale, l’unico modo per riscattarsi.

E invece, questi ragazzi, una volta pronti, si guardano attorno. E cosa vedono? Vedono che per andare avanti non basta essere bravi. Vedono che le cattedre, i primariati, le occasioni, spesso sembrano già assegnati prima ancora di cominciare la gara. Vedono un sistema opaco che premia la fedeltà al “barone” di turno e non la capacità di curare o di innovare.

Così, se ne vanno. Chiudono la valigia con dentro la laurea e la rabbia, e vanno a risplendere altrove. Vanno a Milano, a Bologna, a Londra, a Berlino. Lì diventano primari, ricercatori apprezzati, eccellenze. “Luci” che rischiarano altri lidi, mentre Messina scivola un po’ più nel buio. È un paradosso crudele: formiamo talenti con i soldi e i sacrifici del Sud, per regalarli al Nord o all’estero, scacciati da un sistema che non li prevede, o peggio, che li teme.

Ogni volta che scoppia uno scandalo nella sanità, ogni volta che si parla di appalti pilotati o di concorsi sospetti, non dovremmo pensare solo al codice penale. Dovremmo pensare a quel ragazzo che sta facendo la valigia, che saluta la madre con gli occhi lucidi e pensa che in questa città, per le persone perbene, non ci sia posto. È questo il vero costo della corruzione: non i 700 mila euro di cui parlano le carte, ma il futuro che stiamo buttando via. Ed è un prezzo che non possiamo più permetterci di pagare.

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