
Il dettaglio forse più grottesco dell’indagine arriva dalla testimonianza di Yunliang Huang, commerciante cinese titolare di un negozio di casalinghi e ferramenta.

Non era solo una questione di cifre, ma di metodo. E soprattutto di clima. Quello che emerge dalle carte dell’inchiesta sull’ex rettore Salvatore Cuzzocrea è lo spaccato di un ateneo dove le regole amministrative sembravano piegarsi di fronte alla volontà di un solo uomo, e dove il dissenso era soffocato dalla paura di ritorsioni.
L’eccezione alla regola
Il meccanismo dei rimborsi, teoricamente uno strumento da utilizzare con parsimonia, era diventato la norma per il vertice dell’ateneo. A spiegarlo agli inquirenti è stata Loredana Urzì, segretaria amministrativa del dipartimento “ChiBioFaram”. La regola era chiara: «Il sistema dei rimborsi era utilizzato solo in via d’urgenza». Ma c’era un’asterisco non scritto: «Fatta eccezione per taluni docenti». Quando la Guardia di Finanza ha chiesto nomi e cognomi, la risposta è stata univoca: Salvatore Cuzzocrea.
Non che nessuno avesse provato a parlarne. Urzì, insieme al direttore del dipartimento Sebastiano Campagna, aveva tentato un confronto, facendo notare l’ingente mole di denaro richiesta a rimborso. Il muro di gomma, però, era impenetrabile: quelle spese, sosteneva l’ex rettore, erano «necessarie».
Il clima di sudditanza
Perché nessuno fermava la macchina? La risposta arriva da Santino Zagami, altro segretario amministrativo. Anche lui aveva notato che la modalità era «troppo frequente», ricevendo in cambio l’invito a «non entrare nel merito». Zagami ha descritto ai finanzieri un ambiente paralizzato dal timore reverenziale e dalla paura vera e propria. Rivolgersi al direttore generale Bonanno era inutile, se non controproducente. Bonanno, secondo la Procura, versava in uno stato di «notoria sudditanza» verso il rettore. «Avevo paura di andare dal direttore generale — ha confessato Zagami — in quanto probabilmente lo avrebbe raccontato al rettore e mi avrebbe ripreso in malo modo».
La “caccia” ossessiva agli scontrini e c’era anche un cinese che…
Il dettaglio forse più grottesco dell’indagine arriva dalla testimonianza di Yunliang Huang, commerciante cinese titolare di un negozio di casalinghi e ferramenta. Quello descritto non è un normale rapporto cliente-fornitore, ma una ricerca spasmodica di giustificativi di spesa. «Una volta il professore mi chiese di raccogliere gli scontrini fiscali che i clienti lasciavano alla cassa, o quelli caduti a terra, per poi consegnarglieli», ha raccontato il commerciante. Una spiegazione che giustificherebbe la presenza agli atti di numerosi scontrini di piccolo importo, pagati in contanti. Ma c’erano anche acquisti diretti, ingenti: 42 mila euro tracciati dai militari. Materiale elettrico, uso edile. Cuzzocrea pagava con carta di credito, chiedendo di emettere scontrini consecutivi (“spacchettando” gli importi) e, soprattutto, di non indicare la descrizione della merce venduta.
I ricercatori inconsapevoli
Il “sistema”, come lo definiscono i magistrati messinesi, aveva bisogno di canali per drenare queste somme. Sono stati identificati 14 ricercatori del gruppo di lavoro di Cuzzocrea, ai quali sono state attribuite spese per 210 mila euro. Interrogati dalla Finanza, sono caduti dalle nuvole. Nessuno di loro aveva mai comprato «legname, ferramenta e materiale edile». Il meccanismo era rodato: i ricercatori vedevano accreditarsi somme sul conto personale da parte dell’Università e, credendo si trattasse di rimborsi per materiali di consumo da laboratorio anticipati dal “Professore”, giravano immediatamente i soldi a Cuzzocrea. «Sapevo che anticipava le spese… ma non sapevo che le richieste venissero fatte a nome mio», ha messo a verbale uno di loro. Un altro ha confermato la fiducia cieca nel mentore: «Pensavo fossero rimborsi per spese sostenute per il laboratorio».
Una gestione che la Procura non esita a definire opaca, ma che per il momento non porterà all’arresto. Il Gip ha rigettato la richiesta di custodia cautelare con una motivazione tecnica che suona come una sentenza sull’operato dell’ex rettore: non c’è rischio di inquinamento delle prove, perché la mole di documentazione acquisita è talmente «imponente» da parlare ormai da sola.










