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IL PONTE E LA SFIDA DEI BOLLI: CIUCCI GUARDA AL 2033 PER SALDARE L’ISOLA AL CONTINENTE

- 26/11/2025
Ciucci al Comune di Messina

Mentre si traccia la rotta del Corridoio Scandinavo-Mediterraneo, l’amministratore delegato della Stretto di Messina affronta il valico più insidioso: quello della Corte dei Conti. Tra piani alternativi e la promessa di cancellare l’insularità, la data sul calendario resta fissata tra nove anni.

C’è una linea immaginaria che parte dal freddo del Mar Baltico e scende giù, attraversando il cuore dell’Europa, fino a toccare le acque calde di Sicilia. È il Corridoio Scandinavo-Mediterraneo, una spina dorsale d’acciaio e asfalto che oggi, guardando la mappa, presenta ancora tre interruzioni, tre “salti” nel vuoto. Due sono lassù, tra le nevi e i venti del Nord: il tunnel del Fehmarn Belt tra Germania e Danimarca e quello del Brennero, porta tra Austria e Italia. Il terzo è qui, davanti ai nostri occhi: i tre chilometri di mare che separano Messina dalla Calabria.

Ed è proprio su questa frontiera liquida che Pietro Ciucci, l’uomo al comando della società Stretto di Messina, sta giocando la sua partita più complessa. Non contro le correnti o i venti di scirocco, ma contro i timbri e le carte bollate della burocrazia romana. Audito questa mattina dalla Commissione bicamerale per il contrasto agli svantaggi dell’insularità, Ciucci ha mostrato il piglio di chi deve guidare una carovana attraverso un passaggio stretto e pericoloso.

L’ostacolo immediato si chiama Corte dei Conti. Il rischio di una bocciatura aleggia come una nebbia sul progetto, ma l’amministratore delegato ostenta la sicurezza dei veterani. «Siamo fiduciosi», dice, convinto di aver rispettato ogni norma, italiana ed europea. Ma in una spedizione di questa portata, bisogna sempre avere un piano B. Se i giudici contabili dovessero alzare la paletta rossa, Ciucci è pronto a invocare i «superiori interessi del Paese». Una mossa che costringerebbe la Corte a registrare l’atto “con riserva”.

È un sentiero accidentato, quello della riserva. Ciucci non lo nasconde ai parlamentari: permetterebbe di andare avanti subito, di mettere in moto le macchine, ma lascerebbe il cantiere esposto alle intemperie delle verifiche quindicinali e alle criticità future. Un rischio calcolato per un’opera che ha bisogno di certezze, non di incognite a lungo termine. L’alternativa sarebbe fermarsi, riavvolgere il nastro, correggere le carte e ripartire: più sicuro, ma infinitamente più lento.

Ma perché tanta urgenza? La risposta sta nei numeri che Ciucci sciorina come coordinate di navigazione. L’insularità non è solo una condizione geografica, è una tassa occulta che ogni siciliano paga senza saperlo. Uno studio della Regione la quantifica in 6,5 miliardi di euro l’anno, il 7,4% del PIL dell’isola. È il costo di essere staccati dal mondo, di dover caricare ogni merce su una nave, di aspettare.

L’orizzonte temporale è fissato: 2033. Una data che sembra lontana, ma che nei tempi delle grandi infrastrutture è domani mattina. Per quell’anno, il tunnel tra Germania e Danimarca sarà aperto (2029) e anche il Brennero avrà sfondato le Alpi (2032). Se tutto andrà come deve, nel 2033 il Ponte chiuderà l’ultimo anello.

Quel giorno, sostiene Ciucci, il concetto stesso di “isola” per cinque milioni di persone diventerà un ricordo, una vecchia foto color seppia. La Sicilia smetterà di essere un avamposto solitario nel Mediterraneo per diventare la banchina finale di un continente intero. Fino ad allora, però, la sfida si gioca nelle stanze dei palazzi romani, dove la firma su un decreto pesa quanto una campata d’acciaio sospesa sul mare.

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