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FINANZIARIA REGIONALE, LA PIOGGIA DI MILIARDI E LE CAMBIALI IN BIANCO DI PALERMO

- 26/11/2025
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Schifani mette sul piatto 3,7 miliardi per il triennio, ma i tecnici dell’Ars bocciano il metodo della manovra: troppe norme vaghe, dal “Superbonus siculo” agli aiuti alle imprese, che lasciano mani libere alla politica ignorando le regole.

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In Sicilia, si sa, i numeri hanno spesso la consistenza della pasta di mandorle: dolci al palato, ma pesanti da digerire. Il governo di Renato Schifani ha messo sul tavolo la Finanziaria regionale più imponente degli ultimi cinque anni. Le cifre, per una volta, fanno girare la testa: 3 miliardi e 718 milioni di euro spalmati tra il 2026 e il 2028. Un tesoretto che dovrebbe rilanciare l’isola, o almeno tenerla a galla. Eppure, dietro il trionfalismo degli annunci, si staglia l’ombra lunga dei tecnici dell’Ars, quei funzionari del servizio studi e bilancio che, matita rossa e blu alla mano, hanno cominciato a segnare errori, orrori e “vorrei ma non posso”.

Il libro dei sogni e la realtà

I numeri, dicevamo. La Giunta prevede di spendere oltre un miliardo nel 2026, quasi 400 milioni l’anno dopo e un botto da 2,3 miliardi nel 2028. C’è dentro di tutto: lavoro, trasporti, edilizia. Ma il vero padrone del vapore resta la Sanità, quel mostro insaziabile che da solo ingoia il 48% di tutto il bilancio regionale. Oltre 11 miliardi per curare i siciliani, una cifra che cresce ogni anno, non sempre – ahinoi – di pari passo con la qualità dei servizi.

Ma il diavolo, come sempre, si nasconde nei dettagli. E i dettagli, in questa legge di stabilità, sembrano scritti con l’inchiostro simpatico.

La “salsa sicula” e il potere della firma

Prendiamo il cosiddetto “Superbonus in salsa sicula” (articolo 5). Quarantacinque milioni di euro per sistemare le case, renderle antisismiche o più “green”. Nobile intento. Peccato che la legge non dica come. I tecnici dell’Assemblea hanno dovuto ricordare al Governo che non si può rinviare tutto a un successivo decreto del Presidente. È quella che i giuristi chiamano “delega in bianco”: ti do i soldi, poi decido io a chi darli e come. Un metodo che rischia di violare il principio di legalità, dicono gli uffici. Noi, più prosaicamente, sentiamo puzza di clientela: quando le regole le scrive l’arbitro a partita iniziata, di solito vince chi è amico dell’arbitro.

Lo stesso vale per le Zone Economiche Speciali (Zes). Ci sono 10 milioni, ma manca il quadro normativo europeo. Si vogliono dare soldi alle imprese, ma non si spiega secondo quali regole. Un “fidatevi di noi” che in politica, e specialmente in quella siciliana, suona sempre un po’ sinistro.

L’esercito della foresta e l’invasione degli alieni

C’è poi il capitolo, eterno, dei Forestali e dei Pip. Per i boschi si stanziano 291 milioni l’anno. Per fare cosa? Di tutto un po’: spegnere incendi, piantare alberi, vendere legna, sistemare argini. Troppa roba, tutta insieme, senza capire dove finisce un compito e inizia l’altro. I tecnici segnalano “poca chiarezza”. E che dire dell’articolo 14? Cinquantamila euro per una “cabina di regia” sulle specie esotiche invasive. In un’isola che ha problemi di siccità, rifiuti e infrastrutture colabrodo, ci si preoccupa – duplicando un organismo che esiste già a Roma – dei granchi blu o dei parrocchetti.

Discrezionalità, questa sconosciuta

Scorrendo le note dei revisori, la parola che torna più spesso è “discrezionalità”. La si trova nei fondi per i parchi archeologici (3 milioni da spartire senza criteri chiari), nei soldi per il “disagio sociale” (chi decide cos’è disagio e chi lo cura?), e persino negli sconti sul bollo auto, scritti senza calcolare quanto costeranno alle casse pubbliche.

È un bilancio che assomiglia a un assegno firmato ma non compilato. La Commissione Bilancio ha già dato qualche via libera, ma i dubbi restano. Il governo Schifani ha i soldi, e questa è una notizia. Ma se non spiega in fretta come intende spenderli, rispettando le leggi prima ancora che le promesse elettorali, questa pioggia di miliardi rischia di evaporare prima di toccare terra. O peggio, di finire nelle solite, poche, tasche.

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