
Dalla fiducia carpita con i fiori alla rete di professionisti compiacenti: sventato il piano di fioraia e legale che avevano isolato la vittima per cancellare il lascito a Padre Pio e depredare un patrimonio da tre milioni di euro.

CATANIA – La solitudine che “luccica” a Catania è quella nascosta dietro le porte blindate dei palazzi nobiliari o borghesi, dove il silenzio è rotto solo dal ticchettio di vecchi orologi e dove il patrimonio, accumulato in una vita, diventa improvvisamente un pericolo per sé stessi. In questo scenario si è consumata, secondo la Procura etnea, la parabola della “fioraia e l’avvocata”: una storia di predazione lenta, meticolosa, costruita non con il grimaldello, ma con il sorriso della vicina di casa e la carta bollata del professionista.
Al centro della scena, un’anziana di 85 anni. Una donna facoltosa, senza figli, senza parenti prossimi a fare da scudo. Un bersaglio perfetto, un “bancomat emotivo” pronto a essere svuotato. A tessere la tela, secondo l’accusa che ha portato in carcere la sessantacinquenne Rita Catalano e ai domiciliari l’avvocata cinquantaquattrenne Venera Cosima Nicita di Santa Teresa di Riva, non è stata una banda di truffatori venuti da fuori, ma il “mondo di sotto” e il “mondo di sopra” che si stringono la mano.
Da una parte Rita, la fioraia. La vicina di casa. Quella che bussa per un saluto, che porta un fiore, che si insinua nelle crepe della solitudine quotidiana finché non diventa indispensabile. L’amica. Secondo gli inquirenti, il suo ruolo è stato quello dell’ariete psicologico: isolare la vittima, tagliare i ponti con il mondo esterno, renderla dipendente anche per un bicchiere d’acqua, mentre sua figlia (anche lei indagata) completava l’opera di accerchiamento affettivo.
Il punto di forza del raggiro non è stata la violenza, ma la prossimità. La fioraia ha sfruttato quello che in criminologia viene definito grooming (adescamento) applicato all’anziano. La vicina di casa non desta sospetti, ha accesso fisico all’abitazione senza effrazione e, soprattutto, colma un vuoto. L’isolamento della vittima non è stato un effetto collaterale, ma una strategia deliberata: eliminando le interferenze esterne, la percezione della realtà dell’anziana è stata ridefinita dai suoi stessi carnefici, che sono diventati i suoi unici punti di riferimento.
Dall’altra parte Venera, l’avvocata. Il volto presentabile, la garanzia. Se la fioraia lavorava sull’anima, la legale lavorava sulle carte. La Procura descrive un meccanismo oliato: serviva spostare tre milioni di euro? Ecco pronto un consulente finanziario. Serviva blindare il raggiro? Ecco una segretaria di studio notarile pronta a suggerire la via tecnica più rapida: procure speciali, procure generali, testamenti da riscrivere.
Il piano era quasi perfetto nella sua crudeltà burocratica. C’era un vecchio testamento che lasciava tutto a un ente religioso di Padre Pio? Cancellato. Sostituito da nuove volontà. C’era un garage di proprietà? Venduto alla vicina a un “prezzo vile”, un antipasto del banchetto finale. E per coprire tutto, serviva che l’anziana risultasse lucida, capace, padrona di sé. A questo, secondo l’accusa, avrebbe pensato un medico compiacente, pronto a certificare una sanità mentale che la realtà clinica, fatta di patologie invalidanti, smentiva clamorosamente.
Un dettaglio tecnico fondamentale è la cessione del garage a prezzo vile. Questo passaggio funge spesso da “stress test” nelle truffe complesse. Vendere un bene immobile minore (il garage) permette ai truffatori di verificare se ci sono controlli esterni (parenti che se ne accorgono, notai troppo zelanti) senza rischiare subito il grosso del capitale (i 3 milioni). Inoltre la Procura Generale fatta firmare alla 65enne è lo strumento più pericoloso. A differenza della delega bancaria semplice, la procura generale conferisce il potere di agire in nome e per conto della vittima su tutto il patrimonio, permettendo di svuotarlo legalmente prima ancora della morte della vittima.
L’aspetto più inquietante è la rete di supporto professionale. La presenza di un avvocato, un consulente finanziario, una segretaria notarile e un medico suggerisce che non si è trattato di un’opportunità colta al volo, ma di un vero e proprio “consorzio criminale”. Revocare il testamento a favore dell’ente religioso non serviva solo a dirottare i fondi, ma a eliminare un potenziale “erede” (l’ente stesso) che avrebbe potuto impugnare il testamento futuro o costituirsi parte civile.
Il certificato medico è la chiave di volta. Senza quel pezzo di carta che attestava la capacità di intendere e di volere, nessun notaio avrebbe potuto rogare gli atti. Questo evidenzia come la tutela dell’anziano passi necessariamente per una maggiore responsabilità e controllo della classe medica in ambito legale.
A salvare l’anziana non è stato un parente, ma l’algoritmo freddo e vigile di un istituto bancario. Un’anomalia segnalata, un dubbio, e poi la Squadra Mobile che scoperchia il vaso. Oggi, mentre i beni tornano sotto sequestro e un curatore speciale cerca di rimettere insieme i pezzi della vita dell’anziana, resta l’amarezza di una città dove la fiducia nel prossimo o nel professionista rischia di costare tre milioni di euro.










