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Messina, lo strano incrocio: la Vinci entra in lista, l’Archivio va in esilio. Storia triste di indolenza e “bassa” cultura

- 24/11/2025
archivio

Mentre a Palazzo Zanca si celebra l’ingresso dell’ex Soprintendente in Sud chiama Nord nel nome dell’amore per la città, in via La Farina si consuma l’addio alla memoria: 720 pergamene e atti storici finiscono in un deposito del catanese nell’inerzia delle istituzioni.

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Mentre scrivo, con il telefono in mano e nell’altra la più piccola delle telecamere che possiedo, ho sotto il naso l’odore che sale da via La Farina, che proviene da uno spiraglio tra due porte semichiuse e non più accessibili né ai cittadini, nemmanco ai giornalisti. Quel che annuso non è smog, non è neanche profumo, ma quello stantio della carta vecchia che va al macero, o peggio, all’esilio. È l’odore della sconfitta, acre e polveroso. A pochi passi da lì, nel teatrino settimanale, quasi come fosse la posologia prescritta da un medico della politica, a Palazzo Zanca, va in scena l’ennesima convention elettorale della compagnia di giro “Sud Chiama Nord”. Federico Basile, il sindaco con la fascia, e Cateno De Luca, il sindaco con il megafono – o meglio, il “badante” politico che muove i fili – annunciano trionfanti l’ingresso in lista di Mirella Vinci.

Mirella Vinci Federico Basile

È una coincidenza che ha il sapore dell’ironia quel che accade nello stesso giorno in cui si sta completando lo scippo. Mentre l’ex Soprintendente ai Beni Culturali, donna che istituzionalmente per lungo tempo ha rappresentato la tutela della memoria e del “bello” e “prezioso”, sale oggi sul carro del vincitore (o del gridatore), proprio mentre la memoria vera, quella tangibile, viene caricata come merce avariata sui tir. Destinazione: Riposto. Provincia di Catania.

Il paradosso è servito. La Vinci parla di “amore per Messina“, si lancia nelle solite geremiadi sul fatto che “Catania e Palermo hanno sempre avuto più soldi“. Ma l’amore non si misura con i bonifici della Regione, si misura con la cura. E quale cura sta dimostrando questa città mentre 720 pergamene storiche – pezzi di vita che vanno dal 1200 al 1500 – verranno stipate presto dentro scatoloni anonimi per finire in un magazzino della provincia etnea?

Perché è di questo che si tratta: un deposito. Non chiamatelo trasferimento, non usate eufemismi. Quello di Riposto è un cimitero degli elefanti cartacei. Se domani un cittadino avrà bisogno di un atto notarile, dovrà pregare qualche santo in paradiso o mettersi in macchina verso il catanese, sperando che qualcuno abbia la voglia e la chiave per entrare in quel sarcofago. Finora bastava attraversare la strada a Messina. Da domani, la nostra storia è sotto sequestro, “ospite” in casa d’altri.

In quei scatoloni, tra quelle carte ci sono gli archivi notarili di Messina dal 1400 fino al 1872, quelli di Milazzo, di Mistretta, di Barcellona e di Patti, quelli dell’Avvocatura distrettuale dello Stato, gli atti dei Comitati di liberazione nazionale dal 1944 al 1946, quelli preziosi dei Consolati del Mare, dell’arte e della seta del 1600, delle Corporazioni religiose del 1100, anche della Corte d’Assise di Messina, della Prefettura, dei tribunali di Messina, di Mistretta, di Patti, dei Minorenni… Il silenzio da Messina si è dipanato fino a quei Comuni dove anche quei Sindaci non hanno agito, non hanno fiatato. Unico sussulto e solitaria azione concreta, è innegabile, l’interrogazione al Ministro della Cultura presentata dalla senatrice messinese Dafne Musolino.

E i colpevoli? Sono tutti lì, schierati nel silenzio o nel rumore inutile. Il Comune di Basile, maestro di proclami vuoti come gusci di noce, non è stato capace di trovare uno stanzone. Uno. In una città piena di vuoti urbani, di edifici fantasma, non si è trovato un buco per salvare l’identità cittadina. L’Università? Inerte. Un ateneo che si espande come una macchia d’olio ma che, di fronte alla storia che se ne va, alza le spalle. L’ex Banca d’Italia è chiusa, muta, mentre avrebbe potuto essere la cassaforte della nostra cultura.

Eppure si sono svolti sopralluoghi più disparati in posti possibili e poi scartati. Il Cinema Apollo, l’ex Banco di Roma, l’ex Cassa di Risparmio Vittorio Emanuele, le ex Poste Italiane presso la Ferrovia di Stato, si sono presi contatti con l’Agenzia del Demanio di Palermo per edifici militari in dismissione, financo le agenzie immobiliari, si è “scomodata” la Curia Arcivescovile ed anche i singoli enti religiosi a Santo Spirito, i Rogazionisti, Cristo Re, Domenico Savio e l’ex Conservatorio Corelli ed infine il Don Bosco. Ma nulla. Il “trasferimento” non è stato scongiurato. Messina ha dimostrato di non averne voglia di prendersi cura della sua parte più preziosa e irripetibile.

archivio di stato
archivio di stato

Ma il vero colpevole, il mandante morale di questo scippo, è la città stessa. È il messinese medio. Quello che si indigna sui social, che sputa sentenze tra un “mi piace” e un commento sgrammaticato, ma che non scende in piazza nemmeno se gli portano via le mutande. La “comunità culturale”? Un salotto di belle statuine che si lamentano sorseggiando il caffè, incapaci di un gesto di vera rabbia, di una protesta che faccia tremare i vetri dei palazzi del potere. Accorinti ha fatto una comparsata, uno spettro del passato, per poi sparire nel nulla. La Rettrice Spatari, la Città Metropolitana… tutti assenti ingiustificati.

Così, mentre a Palazzo Zanca si festeggia l’ennesima campagna acquisti elettorale, celebrando l’indolenza travestita da strategia politica e in un clima di sotto-cultura così simile all’odio (politico) tra comari spacciato per amministrazione, in via La Farina si consuma il funerale.

L’indolenza messinese è una malattia terminale. Ci facciamo scippare tutto con un’alzata di spalle. Oggi la memoria parte su una fila di camion, diretta a Catania, quasi a ribadire la nostra sottomissione culturale ed economica. Domani cosa ci toglieranno? La libertà? La dignità? O forse quelle le abbiamo già perse, barattate per un posto in lista, per una stabilizzazione, per un incarico ben o anche poco retribuito o per la pigrizia di non dover lottare.

Guardateli bene quei tir. Non portano via solo carta. Portano via l’anima di una città che ha deciso di morire, ma vuole farlo con il sorriso ebete di chi crede ancora alle conferenze stampa ed alle promesse elettorali.