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Crolla il tetto della Dc: la resa dei conti tra chi aspetta il miracolo giudiziario e chi prepara le valigie

- 22/11/2025
festa dell'amicizia

Finito l’incantesimo della Festa dell’Amicizia, lo Scudocrociato si risveglia fuori dal governo e senza guida. I parlamentari scommettono sulla clemenza dei giudici per non perdere la poltrona, ma la base chiede di mollare gli ormeggi.

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Tira una brutta aria in via Ricasoli, quell’aria viziata e ferma che si respira quando le stanze dei bottoni si svuotano all’improvviso e restano solo gli echi delle promesse. Non serve un sismografo per capire che la Democrazia Cristiana siciliana, quella “Nuova” che sognava di rinverdire i fasti della Prima Repubblica, sta tremando dalle fondamenta.

L’inchiesta che ha travolto l’ex segretario Totò Cuffaro e il capogruppo Carmelo Pace non è solo un fatto giudiziario; è una pietra tombale sull’euforia. Sembra passato un secolo, e invece era solo un mese e mezzo fa, da quando a Ribera si celebrava la Festa dell’Amicizia. Lì, nel granaio di voti agrigentino, si ragionava di percentuali a doppia cifra, di presidenze dell’Ars, di un potere che sembrava tornare naturalmente nelle mani di chi, per decenni, lo ha gestito come un affare di famiglia. Oggi, di quella festa resta solo il ricordo sbiadito, mentre il partito si ritrova orfano di guida, fuori dalla Giunta regionale e con lo sguardo basso di chi deve difendersi.

Il bivio dei democristiani: rottura o attesa?

Il direttivo regionale andato in scena a Palermo, alla presenza dei vertici nazionali Renato Grassi e Gianpiero Samorì, ha mostrato la plastica rappresentazione di un partito allo sbando, diviso tra l’istinto di sopravvivenza e la fedeltà al capo.

La linea del “liberi tutti”: C’è chi, come Francesca Donato, vice presidente nazionale, ha fiutato il vento e chiede una “netta discontinuità”. Il ragionamento è cinico ma politicamente ineccepibile: se Schifani ci ha messi alla porta, perché dovremmo votargli la Finanziaria? È la linea di chi non ha intenzione di affondare con la nave e guarda già alle scialuppe, rifiutando il ruolo di parenti poveri e indesiderati della maggioranza.

La trincea dei fedelissimi: Di contro, c’è il gruppo parlamentare, quella truppa di deputati e aficionados che all’Ars ci devono stare e che non possono permettersi il lusso dell’opposizione dura. Per loro, guidati da figure come l’ex assessore Andrea Messina, l’esilio è “provvisorio”. Presentano emendamenti, strizzano l’occhio al Governatore, sperano che il Gip sia clemente e che tutto torni come prima, in quel gattopardesco eterno ritorno siciliano dove tutto cambia perché nulla cambi davvero.

L’ombra di Roma e il futuro incerto

La vera partita, però, si sposta ora a Roma. Mercoledì 26 novembre, il Consiglio nazionale dovrà prendere atto delle dimissioni “irrevocabili” di Cuffaro. Ma nel vocabolario della Dc, la parola irrevocabile ha sempre avuto un suono flessibile. Le chiavi del partito sono momentaneamente nelle mani di Samorì, un traghettatore che potrebbe accompagnare quel che resta dello scudocrociato fino al 2027.

Eppure, la colonna siciliana storce il naso. Non si rassegnano all’idea che l’esperienza Cuffaro sia finita negli archivi della procura. C’è chi sussurra che, se il quadro giudiziario dovesse schiarirsi, il “Patriarca” potrebbe rientrare. È l’eterna illusione di un ceto politico che vive di relazioni e che ora si trova a dover respingere le sirene degli altri partiti, pronti a cannibalizzare un corpo elettorale rimasto senza pastore.

La Dc è tornata a giocare in difesa, chiusa nel suo fortino, sperando che la tempesta passi senza spazzare via tutto. Ma in politica, come nella vita, quando si inizia a guardare indietro con nostalgia, è spesso segno che il futuro ha già smesso di aspettarti.

Totò Cuffaro