
Un balzo nel vuoto: Messina “migliora” nella classifica, ma reddito e lavoro restano al palo. A cosa serve il turismo se i portafogli piangono?

L’annuale indagine sulla Qualità della Vita di ItaliaOggi (2025) è arrivata, puntuale come il bollettino medico di un Paese cronicamente malato. E, come ogni anno, il referto conferma la solita, deprimente frattura: il Centro-Nord (Milano, Bolzano, Bologna) che corre e si conferma resiliente, e un Mezzogiorno sempre più vulnerabile e fermo nelle retrovie. Caltanissetta (107ª), Crotone (106ª), Reggio Calabria (105ª). La fotografia è impietosa.
In questo quadro desolante, Messina appare quasi come un miracolo. Un balzo di tredici posizioni, fino al 90° posto. Sembrerebbe una vittoria, una “nota meno negativa” per la Sicilia, come la definisce il report.
Ma è proprio qui che si annida l’inganno.
Il paradosso di un’economia che non c’è
L’illusione del 90° posto: festeggiamo la “rimonta” mentre siamo ancora nel baratro delle infrastrutture e dei servizi.
Il 90° posto non è un traguardo, è solo un lieve, seppur apprezzabile, miglioramento nella zona retrocessione del Paese. Festeggiare questo risultato significa aver probabilmente perso il contatto con la realtà, significa accontentarsi di essere (leggermente) migliori di Palermo (99ª) o Catania (100ª), invece di guardare a chi sta davvero bene.
Lo studio, del resto, è chiarissimo e smonta subito l’entusiasmo: questo progresso “racconta più il rallentamento di altre aree del Paese che un reale cambio di passo strutturale“. Non stiamo correndo, stiamo solo camminando un po’ più velocemente degli altri che sono fermi. Se da un lato conforta, dall’altro fa arrabbiare.
L’analisi diventa caustica quando si incrociano i dati. Il report attribuisce a Messina “segnali positivi su turismo e cultura” e un “lieve miglioramento del tessuto economico“. Peccato che, poche righe dopo, certifichi che la città metropolitana resta “penalizzata da indicatori critici come trasporti, infrastrutture, reddito e servizi alla persona“. Come può essere vista la mole di denaro giunta nel tempo nelle casse di ATM e la quantità spropositata di personale assunto e disponibile nella Messina Social City? I nostri “fragili” dovrebbero avere un servizio a cinque stelle. Eppure così non è: Messina non cresce negli indicatori.
Com’è possibile che cresca il turismo, in una città che si autodefinisce “a vocazione turistica”, e che il reddito e il lavoro restino indicatori critici?
Se il turismo cresce, ma la gente non lavora
Più turisti, meno soldi: il disastro strutturale di una città che “cresce” solo perché gli altri sono fermi.
La risposta più probabile è che quel turismo non produce ricchezza. O, se la produce, non la distribuisce.
Il “lieve miglioramento” del tessuto economico, che non si traduce in un aumento del reddito (uno dei parametri chiave dell’indagine insieme ad “affari e lavoro”), descrive perfettamente la natura del problema. Il “turismo” che registriamo è, con ogni probabilità, un turismo mordi e fuggi, fatto di poche ore, che genera sì un indotto, ma un indotto precario, stagionale, spesso a basso valore aggiunto e mal retribuito.
Non si può costruire un’economia sana sui bed and breakfast a gestione familiare o sul boom stagionale della ristorazione, se poi mancano lavoro strutturato e redditi dignitosi per tutto l’anno. Il turismo, da solo, non basta se non è inserito in un sistema.
E il sistema, a Messina, non c’è. Il report lo dice a chiare lettere: siamo penalizzati da trasporti e infrastrutture. Come può una città “turistica” prosperare se mancano le basi della mobilità, se arrivare e spostarsi è un calvario quotidiano non solo per i residenti, ma anche per i visitatori? E la domanda precedente su ATM ripiomba davvero come un macigno.
Il turismo non può fiorire in mezzo al nulla infrastrutturale. Non si possono vendere “cultura e bellezza” se poi i servizi alla persona sono carenti e il sistema dei trasporti è inefficiente.
L’amara verità del 90° posto
Il balzo di Messina da 103ª a 90ª non è una promozione, è solo la fotografia di un’immobilità relativa, leggermente più decorosa rispetto a quella dei vicini di casa siciliani. È la cronaca di una città che resta saldamente ancorata all’ultimo quinto della classifica nazionale, incapace di agganciare non solo il Nord, ma persino la sufficienza. E ciò nonostante i proclami ed i soldi spesi per improbabili eventi che celebrano una posizione “centrale” di Messina nel mondo del digitale e dello sviluppo, che poi non lasciano null’altro che i conti da pagare per gli organizzatori.
Senza un intervento shock sulle infrastrutture, senza una politica attiva per il lavoro che non sia solo assistenzialismo o precariato turistico, e senza un reale aumento del reddito pro-capite, quel 90° posto rimarrà solo un numero buono per i titoli di giornale. Un’illusione ottica nel deserto strutturale del Mezzogiorno.










