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L’ira del Ministro. Musumeci scopre il “clientelismo” siciliano e si assolve

- 16/11/2025
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L’affondo (tardivo) su Cuffaro e la difesa (immediata) di Galvagno. L’ex Governatore, ormai Ministro a Roma, sale in cattedra e si accorge del “sistema” che per cinque anni ha presieduto.

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Giuseppe Bevacqua

di GIUSEPPE BEVACQUA

C’è la festa, al Molo trapezoidale di Palermo. Si celebrano i tre anni del governo Meloni, un governo di cui Nello Musumeci è Ministro. Ma l’ex Governatore non è uomo da celebrazioni serene. Ha bisogno di un palco, e da quel palco deve scendere il verbo. E il verbo è quello dell’ira.

L’ira contro un sistema che, a sentir lui, lo ha circondato, ostacolato, forse persino corrotto nei suoi uomini. “La Regione siciliana è fondata sul sistema clientelare e sul consociativismo politico”, tuona Musumeci. Applausi. È la scoperta dell’acqua calda servita con il piglio del moralista, la diagnosi che qualsiasi siciliano fa al bar, ma detta da chi quel sistema lo ha governato per cinque anni.

Il riferimento, neanche troppo velato, è all’inchiesta che ha travolto la DC di Totò Cuffaro. E qui Musumeci non si tiene: “La politica deve essere in grado di intervenire prima della magistratura. Quando la magistratura è intervenuta, il danno ormai è fatto”.

Eccola, la critica. Tradotto: tenere Cuffaro in maggioranza, quel Cuffaro che garantiva numeri e stabilità, è stato un errore. Un errore che, evidentemente, si palesa solo ora che sono arrivate le Procure. Finché i voti servivano, il “consociativismo” era, forse, solo realismo politico.

L’ex Presidente è un fiume in piena. Usa toni forti, immagini crude, da predicatore. Invita i suoi a “non farci sodomizzare dal palazzo”. Il “palazzo”, questa entità astratta e maligna che corrompe i puri. Dimentica, Musumeci, che di quel palazzo è stato il primo inquilino per un lustro. È il vecchio vizio della politica italiana: denunciare il sistema di cui si è stati parte integrante, addossando la colpa a una “struttura” impersonale.

E da uomo che il palazzo lo conosce bene, lancia l’affondo sull’ipocrisia dell’Ars: l'”abuso del voto segreto“. Qui parla “con cognizione di causa“, e c’è da credergli. È lo strumento perfetto del consociativismo che denuncia. “Serve“, dice Musumeci con cinismo realista, “a mandare messaggi, a ricattare e a vendicarsi“.

La stoccata migliore, però, è l’ammissione di impotenza: “Non vuole toglierlo nessuno, perché serve, anche al centrodestra”. Il sistema, insomma, fa schifo, ma è troppo utile per smantellarlo davvero.

Il garantismo per gli amici

Ma il moralismo del Ministro ha confini precisi. La furia si placa, il tono si fa paterno, quando si tratta di difendere i suoi. Il presidente dell’Ars, Gaetano Galvagno, fedelissimo di Musumeci, è indagato dalla Procura di Palermo per l’uso dei fondi e dell’autoblu.

Qui la magistratura non è più un “danno fatto“. Anzi. “Continua a lavorare – dice Musumeci a Galvagno – con la stessa serenità e la stessa autorevolezza“. E ancora: “Non abbiamo scheletri nell’armadio, fiduciosi nel lavoro della magistratura“.

L’ira funesta si scioglie in garantismo peloso. Il clientelismo, il consociativismo, l’intervento necessario della politica prima dei giudici: tutto valido, ma per gli altri. Per gli alleati scomodi come Cuffaro.

Per gli amici, c’è la fiducia e la serenità.

La chiusura è un capolavoro di ambiguità siciliana, quasi un avvertimento: “Dobbiamo restare vigili rispetto a chi sta accanto a noi, a un palmo da noi, e voi mi capite”. La platea capisce. Capisce che il “sistema” ha sempre la faccia di qualcun altro.

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