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La voragine delle Partecipate. L’esercito dei 2.600: Messina spende di più per ottenere meno. È buona amministrazione? I rischi fino al “Salva colline”

- 10/11/2025
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E il “Salva colline”? Se tutti i proprietari che dieci anni fa hanno ceduto valore reale in cambio di promesse vuote facessero causa, il Comune si troverebbe di fronte a richieste milionarie di risarcimento

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Se a scorrere i giornali locali basta il conto delle poltrone, dei consiglieri di amministrazione (CdA) e dei loro gettoni nel sistema delle partecipate del Comune di Messina per far apparire il conto salato, la cifra diventa francamente mostruosa se si allarga il campo a quanto costa l’intero apparato in termini di stipendi.

L’operazione “trasparenza” sui numeri reali, spesso annegati in mille rivoli di bilancio, rivela una macchina che ha assunto dimensioni pachidermiche. Un vero e proprio esercito a libro paga del contribuente.

L’esercito dei 2.600

Facciamo i conti, basandoci sui dati più recenti disponibili (riferiti tra il 2024 e il 2025). Il totale dei dipendenti delle principali aziende comunali sfiora le 2.600 unità.

  • Messina Social City: Il colosso del welfare cittadino. I dati di bilancio indicano circa 1.317 dipendenti.
  • Messina Servizi Bene Comune: La società che gestisce i rifiuti e la pulizia. Conta circa 717 dipendenti.
  • ATM S.p.A.: L’azienda di trasporto pubblico viaggia su circa 538 dipendenti.
  • Patrimonio S.p.A.: Una struttura molto più snella, con 6 dipendenti.
  • Arismè: L’Agenzia per il Risanamento, stando ai dati camerali, risulta avere 0 dipendenti (operando presumibilmente con altre strutture o personale).

In totale, parliamo di oltre 2.570 persone. A queste si aggiungono le continue “stabilizzazioni” e le nuove procedure di assunzione (come le selezioni per nuovi autisti ATM) che hanno caratterizzato il 2024 e il 2025, consolidando una forza lavoro imponente.

Il costo dell’esercito: un’emorragia da 820 milioni

Questo esercito, però, ha un costo. Un costo che prosciuga le casse comunali.

Proviamo a fare una stima, pur prudenziale. Se consideriamo un costo medio per dipendente (comprensivo di stipendio lordo, oneri, contributi) di circa 39.000 euro annui – una cifra realistica, allineata ai dati di bilancio di aziende come Messina Servizi – il conto è presto fatto.

Con 2.578 dipendenti, il costo annuale per gli stipendi delle partecipate ammonta a oltre 100,5 milioni di euro.

Ogni mese, dalle casse pubbliche escono quasi 8,4 milioni di euro solo per pagare questa forza lavoro.

Se proiettiamo questa spesa corrente su un arco temporale più lungo, come quello dal 2018 a oggi (8 anni), e pur tenendo conto che il numero dei dipendenti è cresciuto nel tempo, la cifra diventa astronomica: parliamo di un impegno di spesa che si avvicina agli 804 milioni di euro.

A questa cifra, già mostruosa, si devono aggiungere i 15 milioni di euro che, secondo le stime circolate, sono stati spesi nello stesso periodo (2018-2025) per i compensi dei Consigli di Amministrazione.

Il totale fa 819 milioni di euro. Ottocento diciannove milioni di euro di denaro dei messinesi bruciati sull’altare di un sistema che, come vedremo, produce servizi tutt’altro che eccellenti.

Il paradosso: più spesa, meno servizi

Qui si annida il veleno. Con una tale potenza di fuoco, ci si aspetterebbe un’efficienza svizzera. La realtà, purtroppo, è cronaca quotidiana di disservizi.

Prendiamo la Messina Social City. Con 1.317 dipendenti, gli anziani, i fragili, i disabili della città dovrebbero vivere in un’oasi felice, coccolati da un servizio a cinque stelle. Invece, le cronache sono piene di lamentele, di polemiche sindacali sulla gestione e di un’utenza che denuncia ritardi e carenze. Nonostante i “risultati indiscutibili” in termini di stabilizzazioni, le critiche, come riportato anche da fonti sindacali (Fiadel), sulla qualità dell’organizzazione crescono.

Lo stesso vale per Messina Servizi. L’internalizzazione del servizio (con 717 dipendenti) doveva portare due benefici: pulizia e risparmio. Se sulla pulizia i risultati sono altalenanti, del risparmio non c’è traccia. Messina paga ancora la TARI con tariffe che restano al massimo, senza che l’enorme costo del personale si traduca in un calo delle bollette per i cittadini.

La domanda che sorge è brutale: è buona amministrazione questa? O è solo spreco di denaro pubblico, speso per ottenere meno?

La spada di Damocle sui conti

Mentre si alimenta questa macchina costosa, le fondamenta finanziarie del Comune restano fragili. Palazzo Zanca è ancora sotto la lente del Ministero per il Piano di Riequilibrio Finanziario Pluriennale, un piano soggetto a monitoraggio semestrale (come confermano documenti di monitoraggio del 2025). Ogni sei mesi, si deve dimostrare che i conti tengono e che si sta procedendo a far rientrare la massa passiva. Ma i conti direbbero tutt’altro.

Ma a tenere quei conti in ostaggio ci sono i debiti, vecchi e nuovi.

1. Le bombe a orologeria delle vecchie partecipate: L’ombra della vecchia azienda di trasporti, l’ATM “bad company” messa in liquidazione, aleggia ancora. I suoi debiti, stimati dall’ex amministrazione in 85 milioni di euro, non sono mai stati completamente risolti. A questa si aggiunge l’allarme, emerso nel 2025, legato alle liquidazioni di ATO 3 e Messinambiente: un contenzioso che, nel peggiore degli scenari, potrebbe costare al Comune tra i 36 e i 99 milioni di euro.

2. L’inganno del “Salva Colline”: E poi c’è l’urbanistica, il pozzo senza fondo dei disastri amministrativi. È emersa in questi giorni la prima, clamorosa sentenza sul Piano Salva Colline. Un piano nato per tutelare il paesaggio, che prevedeva la cessione di diritti edificatori in collina in cambio di “crediti volumetrici” da spendere in altre aree. Peccato che, per oltre un decennio, il Comune non abbia mai adottato i piani attuativi per rendere quei crediti “spendibili”.

Risultato? Il TAR di Catania (Sentenza 03117/2025) ha appena condannato il Comune per “silenzio illegittimo”, dando 60 giorni di tempo per rispondere a un cittadino che nel 2014 aveva rinunciato a 8.200 metri cubi, ricevendo in cambio solo carta straccia. Ora, se l’amministrazione non provvederà, sarà nominato un commissario.

Il rischio patrimoniale è devastante. Quella sentenza è solo la prima. Se tutti i proprietari che dieci anni fa hanno ceduto valore reale in cambio di promesse vuote facessero causa, il Comune si troverebbe di fronte a richieste milionarie di risarcimento. Un’altra, colossale, passività potenziale creata dall’inerzia amministrativa.

Mentre si assume e si stabilizza nelle partecipate, si rischia un nuovo default per i debiti del passato e per l’incapacità di programmare il futuro. Un circolo vizioso che non lascia dormire sonni tranquilli a nessuno. Tranne, forse, a chi siede nei CdA.

giostra colline
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