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Omicidio Capizzi: il padre di Frasconà non sapeva cosa volesse fare il figlio. “Fermati voglio bere una birra”

- 04/11/2025
giacomo frascona

La morte di Giuseppe, 16 anni, colpito per errore. La lite, la pistola comprata “per rispetto” e il racconto dell’assassino.

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C’è un ragazzo di sedici anni morto, colpito al collo. Si chiamava Giuseppe Di Dio. E c’è un ragazzo di vent’anni, Giacomo Frasconà, che ha confessato: “L’ho ucciso io. Ma non era per lui”.

Succede a Capizzi, un paese sui Nebrodi, dove una sera di novembre è finita così.

A finire in carcere, fermati dalla Procura di Enna, non c’è solo Giacomo. Ci sono anche suo padre, Antonino, e suo fratello, Mario. Ma Giacomo, parlando con il suo avvocato, ha provato a scagionarli.

Ha raccontato la sua versione dei fatti. Una versione che ancora non è un verbale, ma che prova a spiegare il perché.

Tutto sarebbe iniziato un’ora prima, davanti a un altro bar. Una lite. Il bersaglio della sua rabbia era un altro ragazzo, un coetaneo con cui c’erano già stati scontri. C’era di mezzo anche una denuncia per minacce.

Giacomo Frasconà dice di essere stato picchiato, di aver avuto la peggio.

Allora è andato a prendere la pistola. Una calibro 6.35, che teneva nascosta in un rudere. L’aveva comprata a Catania, ha detto, per “guadagnarsi rispetto“.

Sulla via di casa, avrebbe chiesto al padre di fermarsi in via Roma. Voleva bere una birra. Il padre, sempre secondo questo racconto, avrebbe tentato di dissuaderlo. Poi se ne sarebbe andato via, portando con sé l’altro figlio, Mario, di diciotto anni.

È qui che le telecamere di sorveglianza dovranno dare una risposta. Il padre e il fratello sapevano della pistola? Conoscevano le sue intenzioni? O si sono allontanati prima che accadesse l’irreparabile?

Giacomo è rimasto solo. Ha iniziato a urlare il nome del suo rivale. E ha sparato.

Ma in via Roma, in quel momento, c’erano altri ragazzi. C’era Giuseppe Di Dio, sedici anni, che si trovava lì con gli amici. Un proiettile lo ha colpito al collo, uccidendolo. Un altro giovane è rimasto ferito.

La famiglia Frasconà, a Capizzi, è nota. Mario, il diciottenne, ha già scontato un anno. L’accusa era di minacce e di aver incendiato il portone della caserma dei carabinieri. Giacomo, il ventenne che ha confessato, aveva danneggiato auto e tentato di sfondare la vetrata dell’ufficio postale, coperto da sacchi della spazzatura. La Questura aveva anche chiesto per lui un Daspo urbano, che però non è mai stato completato.

Il vero bersaglio dell’agguato, intervistato dal Tg1, ha confermato le tensioni. Ha parlato di minacce e aggressioni subite per motivi futili, come una discussione al ritorno da una sagra. “Mi dispiace per Giuseppe”, ha detto, sottolineando la tragica fatalità.

Anche la madre di Giacomo ha parlato. Ha chiesto scusa alla famiglia della vittima. Ma ha difeso il marito: “Secondo voi un padre porta il figlio a fare una strage?”.

Ora, la Procura di Enna, guidata da Ennio Petrigni, attende la decisione del giudice per le indagini preliminari. I tre indagati, assistiti dall’avvocato Felice Lo Furno, compariranno davanti al gip per la convalida del fermo.

Sarà in quel momento che il racconto di Giacomo Frasconà verrà messo nero su bianco. E forse si aprirà uno spiraglio di verità su una vicenda che ha sconvolto un’intera comunità.

didio
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