
La Corte dei conti lancia l’allarme nella sua ultima relazione: spesa “strutturalmente insufficiente” dove i bisogni sono maggiori. L’isola in affanno, con Palermo e Catania maglie nere. E Messina, con 186 euro pro capite, non ha nulla da festeggiare.

Un Paese spaccato, sbilanciato e disomogeneo. Un’Italia sociale che viaggia a velocità multiple, dove il welfare è un diritto per alcuni e un miraggio per altri. Non è un’opinione, ma la fotografia impietosa scattata dalla Corte dei conti nell’ultima “Relazione sulla spesa sociale negli enti territoriali” (Delibera n. 18/SEZAUT/2025/FRG).
La magistratura contabile denuncia un sistema in cui i fondi sono “strutturalmente insufficienti” proprio dove la domanda di assistenza è più alta: il Mezzogiorno. Qui la spesa comunale pro capite per il welfare resta drammaticamente bassa, mentre le regioni a statuto speciale del Nord, come il Trentino-Alto Adige o la Valle d’Aosta, viaggiano su livelli di spesa e di servizi inaccessibili per il resto del Paese.
Sicilia, l’epicentro della fragilità
In questo quadro desolante, la Sicilia si conferma tra le aree più critiche. La regione presenta una spesa sociale pro capite di appena 169 euro, ben al di sotto della già deludente media nazionale di 185 euro.
A pesare come un macigno sul dato siciliano sono le performance delle sue aree metropolitane più grandi: Palermo si ferma a 132 euro pro capite e Catania sprofonda a 124 euro.
In questo contesto, il dato di Messina, che si attesta a 186 euro, può sembrare una nota positiva. Supera la media regionale e persino, di un soffio, quella nazionale. Ma è un’illusione ottica. Se si allarga lo sguardo, il dato messinese scompare di fronte agli standard minimi di un Paese civile. Mentre nel Nord-Est, secondo i dati Istat richiamati nel dibattito, si viaggia a 207 euro di media, la Sicilia per alcuni servizi specifici si ferma a 4 euro pro capite, contro i 20 del Friuli-Venezia Giulia.
Il dato messinese non indica un’eccellenza, ma solo una sufficienza stentata in un contesto di collasso generale. A fare (relativamente) meglio nell’isola sono solo Trapani (199 euro), Agrigento (229 euro) e la virtuosa Enna, che guida la classifica regionale con 250 euro.
Perché il Sud non spende?
Il paradosso denunciato dalla Corte dei conti è che il Sud non spende (o spende male) pur avendo un bisogno disperato di welfare. I motivi sono strutturali e antichi.
La magistratura contabile evidenzia come l’invecchiamento della popolazione, la denatalità e i livelli di istruzione inferiori alla media europea compromettano la sostenibilità del sistema. Ma, soprattutto, la Corte punta il dito contro la debolezza della macchina amministrativa comunale.
Anche quando le risorse ci sono, come i fondi del PNRR, i Comuni del Mezzogiorno non riescono a metterle a terra. Mancano dirigenti e funzionari specializzati, le procedure sono farraginose e i bilanci ordinari non hanno i fondi per garantire la gestione dei nuovi servizi una volta creati.
La spesa, quindi, rimane bloccata sulla gestione dell’emergenza (spesa corrente) senza alcuna capacità di innovazione o investimento sulle strutture.
Il quadro siciliano è aggravato da un tasso di popolazione a rischio povertà del 46% (prima dei trasferimenti sociali) e da un inarrestabile declino demografico.
Secondo la Corte dei conti, il futuro del welfare non può che passare da una maggiore integrazione tra pubblico e privato, coinvolgendo associazioni e fondazioni. Un modello che, però, per funzionare richiede un riequilibrio territoriale delle risorse e la fine di quella frattura sociale che oggi, da Palermo a Messina, taglia in due l’Italia.










