
Quello di De Luca e Sud chiama Nord si configura, dunque, come il primo, eclatante caso di “candidature a pagamento” esplicitamente dichiarato.

Dal palco di Giardini Naxos, davanti a una platea contenuta, il Sindaco di Taormina Cateno De Luca ha lanciato la campagna elettorale del suo movimento, Sud chiama Nord, inaugurandola con una proposta che suona come una picconata ai pilastri della Repubblica: una “tassa d’ingresso” da 50 euro per potersi candidare nel suo partito. Un’affermazione che, riportata dalla stampa locale, configura un vulnus democratico senza precedenti e una palese violazione dei principi costituzionali.
La Costituzione italiana è cristallina e non ammette scorciatoie. L’accesso alle cariche elettive è un diritto fondamentale, non una concessione a pagamento. L’articolo 51 recita: “Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge”.
La formula “secondo i requisiti stabiliti dalla legge” è la chiave di volta. La legge, e solo la legge, può determinare le condizioni per candidarsi, come l’età, la cittadinanza o l’assenza di condanne penali ostative. Tra questi requisiti, tassativi e rigorosi, non figura e non potrà mai figurare la capacità economica del cittadino.
Introdurre un balzello, anche simbolico, come condizione per l’esercizio di un diritto politico fondamentale significa:
- Violare il principio di uguaglianza (Art. 3 Cost.): Si crea una discriminazione diretta basata sul censo, riportando l’orologio della storia a epoche in cui solo i possidenti godevano di pieni diritti politici.
- Minare la sovranità popolare (Art. 1 Cost.): La selezione della classe dirigente non avverrebbe più sulla base del merito, del consenso e delle idee, ma verrebbe inquinata da un filtro economico che esclude a priori chi non può o non vuole pagare.
È cruciale distinguere il legittimo finanziamento alla politica da questa inaccettabile “tassa sulla candidatura”. Un conto è la libera donazione di un cittadino a sostegno di un partito o di un candidato, atto volontario e trasparente (almeno in teoria). Un altro, completamente diverso, è condizionare l’esercizio di un diritto costituzionale al versamento di una somma.
Quando il contributo cessa di essere una libera scelta e diventa il sine qua non – la condizione indispensabile – per ottenere la candidatura, la sua natura muta radicalmente. Non si tratta più di sostegno politico, ma di una vera e propria transazione commerciale: il diritto di rappresentanza diventa una merce in vendita. Quello di De Luca e Sud chiama Nord si configura, dunque, come il primo, eclatante caso di “candidature a pagamento” esplicitamente dichiarato.
Avventurandosi su questo terreno, Cateno De Luca si espone a rischi che travalicano la mera critica politica. Una richiesta esplicita di denaro in cambio di una candidatura, specie se esercitata da una posizione di potere e influenza all’interno di un partito, potrebbe lambire pericolosamente i confini di gravi fattispecie penali.
Sebbene il finanziamento illecito ai partiti sia una materia complessa, la giurisprudenza ha esaminato casi in cui la promessa o l’erogazione di utilità in cambio di un vantaggio politico assume rilevanza penale. La richiesta di una somma, presentata come obbligatoria per candidarsi, potrebbe essere analizzata sotto la lente di reati come l’induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319-quater c.p.). In questa fattispecie, un soggetto con una posizione di potere “induce” – attraverso persuasione o pressione morale – qualcuno a versare indebitamente denaro.
La questione è delicata, ma è indubbio che subordinare un diritto fondamentale a un pagamento crea una zona grigia che la magistratura potrebbe essere chiamata a dirimere.
L’Intervento doveroso del Prefetto
Di fronte a una pratica che inquina alla radice il processo democratico, le istituzioni non possono restare a guardare. Il Prefetto di Messina, in qualità di rappresentante del Governo sul territorio e garante della legalità dei procedimenti elettorali, è obbligatoriamente chiamato a intervenire.
Il suo ruolo non è solo quello di un notaio che certifica la regolarità formale delle liste. Il Prefetto ha il dovere di vigilare affinché i principi costituzionali che regolano le elezioni siano rispettati. La “contrattazione candidatura-donazione”, come definita da alcuni giuristi, è una stortura che altera le fondamenta stesse della competizione democratica e richiede un’attenta valutazione da parte delle autorità competenti.
L’affermazione “Non si possono chiedere soldi per una candidatura” non è uno slogan, ma un imperativo giuridico e morale. Qualsiasi prassi che vi contravvenga, per quanto ammantata da giustificazioni pretestuose, rappresenta un cancro per la democrazia. Svuota di significato il merito, allontana i cittadini capaci ma non facoltosi e trasforma i partiti da associazioni di idee a comitati d’affari, dove la rappresentanza è solo l’ultima delle merci in vendita.
