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Messina, il “Grande Fratello” comunale e i dubbi sulla privacy: una Control Room da porre sotto la lente del Garante

- 01/10/2025
linea verde control room
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Una video “control room” gestita da impiegati comunali, capace di tracciare persone e veicoli in tempo reale attraverso una capillare rete di telecamere dotate di riconoscimento biometrico. È lo scenario, degno di un romanzo distopico, che sarebbe stato presentato con orgoglio in un recente servizio della trasmissione “Linea Verde” della RAI, dedicato alle innovazioni della città di Messina. Un funzionario comunale avrebbe mostrato con ostentato orgoglio e promozione dell’amministrazione comunale, quasi come in uno spot pubblicitario (ma lo era?) la sorprendente efficienza del sistema nel monitorare “ogni movimento, dall’identificazione dell’abbandono dei rifiuti fino al tracciamento di individui e mezzi“. Anche i bus, il loro movimento, i loro orari… c’è da chiedersi se anche i dipendenti.

Se fosse davvero come descritto dal dipendente comunale Maurizio Mondello, allora, alla luce della normativa vigente, un simile apparato non solo solleva enormi interrogativi sulla tutela della privacy, ma opererebbe in una zona d’ombra legislativa, se non in palese violazione delle leggi italiane ed europee.

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La normativa italiana: un freno (per ora) alla biometria selvaggia

Allora facciamo un po’ di chiarezza e di approfondimento sulla normativa e sull’orientamento relativamente ai sistemi di sorveglianza ed ai rilevamenti biometrici.

Il punto centrale della questione risiede in una moratoria legislativa tanto chiara quanto apparentemente ignorata. La legge italiana, in attuazione di un principio di precauzione e in attesa di un quadro normativo più definito, ha sospeso l’installazione e l’utilizzo di impianti di videosorveglianza con sistemi di riconoscimento facciale e dati biometrici in luoghi pubblici o aperti al pubblico fino al 31 dicembre 2025.

Questa sospensione, prorogata da ultimo con il Decreto Legge 51/2023, ammette deroghe quasi esclusivamente per trattamenti effettuati dall’autorità giudiziaria e dalle forze di polizia a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati. L’impiego di tali tecnologie è comunque subordinato a un parere favorevole del Garante per la protezione dei dati personali e a precise autorizzazioni.

Alla luce di ciò, la domanda sorge spontanea: in base a quale normativa il Comune di Messina avrebbe attivato un sistema così invasivo? Esiste un regolamento comunale specifico che autorizzi il tracciamento biometrico dei cittadini per finalità di sicurezza urbana o di controllo del territorio? Se sì, come si concilia con una legge dello Stato che, al momento, ne congela l’applicazione?

Chi controlla i controllori? Impiegati comunali alla guida del Sistema

tracciamento di oggetti e dati collegati
tracciamento di oggetti e dati collegati

Un altro aspetto critico, evidenziato nel servizio televisivo RAI, riguarda la gestione della control room. La sorveglianza avanzata della città non sarebbe affidata a personale operativo delle forze dell’ordine, come la Polizia di Stato o i Carabinieri, unici soggetti titolati a svolgere certe attività di indagine, nemmanco alla Polizia Municipale, bensì a semplici impiegati comunali. Un fatto che pone pesanti interrogativi sulle modalità d’uso di questo potente sistema di tracciamento, capace di tracciare chiunque e in qualsiasi momento. E allo stato delle cose, senza un rigido sistema di accessi qualificati, potrebbe davvero fruirne chiunque con qualsiasi finalità!

Questo dettaglio, basandoci su quanto dichiarato nel servizio televisivo e notando chiaramente i riquadri elettronici del tracciamento sui monitor, apre a una serie di preoccupanti interrogativi:

  • Quale formazione ha ricevuto questo personale per trattare dati così sensibili come quelli biometrici?
  • Con quali protocolli di sicurezza e secondo quali procedure vengono gestiti i dati raccolti?
  • Chi garantisce che l’enorme potere derivante dal controllo capillare della città non venga usato per finalità diverse da quelle istituzionali o, peggio, in modo arbitrario?

Il Regolamento comunale per la videosorveglianza di Messina, pur menzionando il rispetto del GDPR, prevede una sala di controllo presso i locali della Polizia Municipale. Tuttavia, le capacità di tracciamento biometrico descritte vanno ben oltre la normale videosorveglianza urbana, entrando in un campo dove la legge impone restrizioni massime, soprattutto se a operare non sono ufficiali di polizia giudiziaria.

Il ruolo della Prefettura e il precedente specifico con Cateno De Luca

Secondo quanto emerso, già durante la sindacatura di Cateno De Luca, che presentò il progetto, il Prefetto di Messina si sarebbe espresso in modo contrario, definendolo un’iniziativa che non avrebbe mai ottenuto l’approvazione. Sebbene le cronache recenti riportino la firma di “Patti per la sicurezza urbana” tra Comune e Prefettura per l’implementazione di sistemi di videosorveglianza, questi accordi si inseriscono in un quadro normativo che non prevede affatto il riconoscimento biometrico gestito a livello comunale. Anzi, è prassi che tali patti sottolineino il necessario rispetto delle disposizioni del Garante della Privacy.

L’Europa e il Garante: Un Muro contro la Sorveglianza di Massa

L’orientamento europeo, cristallizzato nell’AI Act in via di approvazione, è estremamente restrittivo sull’uso di tecnologie di identificazione biometrica a distanza in spazi pubblici. La regola generale è il divieto, con eccezioni limitatissime e circostanziate legate a gravi minacce alla sicurezza. È impensabile che un singolo Comune possa arrogarsi il diritto di implementare un sistema che le stesse istituzioni europee considerano ad altissimo rischio per le libertà fondamentali.

Di fronte a un quadro che si prospetterebbe così allarmante, l’intervento del Garante per la protezione dei dati personali non è solo auspicabile, ma appare come un atto dovuto. È necessario fare piena luce sulla natura del sistema di videosorveglianza del Comune di Messina, verificare le tecnologie effettivamente in uso e accertare se, come sembra, si stia operando al di fuori del perimetro concesso dalla legge e chi è autorizzato ad usare questa tecnologia. La sicurezza urbana è un bene prezioso, ma non può essere barattata con la creazione di un “Grande Fratello” municipale che osserva, e che se identifica e traccia davvero i suoi cittadini tutto ciò avverrebbe in palese violazione delle norme che tutelano la loro privacy e la loro libertà.

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