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Scuola, il paradosso dei tagli in Sicilia

- 20/08/2025
classe scuola

Meno alunni, meno classi, meno insegnanti: ma davvero questa è la risposta?

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Ancora una volta la scuola paga il prezzo del calo demografico. Con il nuovo decreto interministeriale, a partire da settembre in Sicilia verranno tagliate 603 cattedre. Un numero che, tradotto in termini concreti, significa meno opportunità per i docenti precari, meno possibilità di stabilizzazione per chi ha vinto un concorso, meno chance di rientro per chi da anni insegna lontano da casa. E, soprattutto, una scuola più povera.

Il governo chiama questa operazione “adeguamento”. Ma il lessico non deve ingannare: si tratta di un taglio lineare, che riduce organici e prospettive. Il principio che lo sostiene è tanto semplice quanto spietato: meno alunni uguale meno insegnanti. Peccato che così si scelga di trasformare una crisi — quella demografica — in un’ulteriore ferita per il sistema scolastico.

I sindacati lo denunciano da tempo: invece di usare il calo delle iscrizioni per ridurre il numero di studenti per classe e migliorare la qualità dell’insegnamento, si preferisce risparmiare. Eppure in Sicilia il problema non è certo la “troppa scuola”, ma la dispersione scolastica, gli abbandoni precoci, la fragilità educativa di un’intera generazione che rischia di uscire dalle aule senza le competenze minime.

Ridurre gli organici non significa solo cancellare posti di lavoro. Significa comprimere la didattica, caricare sulle spalle di chi resta più alunni, meno tempo, più stress. Significa rinunciare a investire sulla formazione come strumento di riscatto sociale, soprattutto in un territorio già segnato da disuguaglianze e arretratezze.

Il ministro dell’Economia Giorgetti lo ha detto chiaramente in commissione: il calo delle primarie si estenderà a tutti i gradi, e quindi serviranno “ripensamenti” sulla spesa. Tradotto: altri tagli all’orizzonte. Una visione puramente contabile, che considera la scuola non come il motore del futuro ma come un capitolo di bilancio da limare.

Ecco il punto: il calo demografico non è una condanna, ma un’occasione. Poteva essere l’opportunità per classi meno affollate, per una didattica più inclusiva, per insegnanti meno oberati. Poteva essere il momento di investire in qualità, non di sottrarre quantità.

La scelta politica invece è chiara: ridurre, tagliare, comprimere. Una scorciatoia che forse alleggerisce i conti pubblici, ma appesantisce le prospettive di intere generazioni.

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